Goodbye, Cafè Emm

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti

Sono arrivato ieri a Londra per passare come d’abitudine tre giorni tra gli scaffali della Fiera del Libro Internazionale che qui si svolge ogni anno ad Aprile. Ma, prima ancora di iniziare il mio peregrinar selvaggio tra scaffali di editori e conferenze di autori più o meno celebri, ho avuto un shock emotivo.
Pensavo di star andando semplicemente a cena, e invece avevo un appuntamento con l’ angoscia del tempo che passa, e con un grumo di malinconia che mi aspettava lì a Soho.

Esattamente 365 giorni fa, in questo post raccontavo della mia affezione per il Café Emm, un ristorantino-bettola di Frith Street che era un po’ la mia casa londinese, visto che da quando ho iniziato a frequentare la capitale britannica (e parliamo della metà degli anni ’90) è sempre stato qui che ho scelto di venire a mangiare, con compagnie di amici e ancora più spesso da solo, nei miei viaggi di lavoro.
Ormai ogni volta in cui mi ritrovavo nel centro di Londra non curiosavo nemmeno più nei menù degli altri ristoranti – d’altronde si sa che, al di là delle proprie passioni personali, c’è sempre ben poco da curiosare, quando si tratta di cibo, in Inghilterra. Senza nemmeno bisogno di chiedermi “dov’è che mangio stasera?” camminavo sicuro verso il Café Emm, e mi godevo il mio Chicken Divan o il mio stufatino stile Jane Austen in attesa di andare a teatro, o bevendo un bicchiere insieme a qualcuno dei miei friends.

Ebbene… ieri sera non riuscivo a crederci. Arrivato davanti al civico 17 di Frith Street, pensavo di essermi confuso, di aver sbagliato inavvertitamente strada. Ho fatto il giro del circondario tre volte, preso da una leggera forma d’ansia, e sperando che la mia memoria mi stesse facendo difetto.
Ma ahimé no, era proprio così: il Café Emm non esiste più.

E non c’è niente da fare, io sono un melanconico di natura, ma mi sono sentito come se mi fosse venuto a mancare un amico, un compagno di giovinezza, o come se una piccola, minuscola parte di me si fosse spenta per sempre. Non ho potuto fare a meno di ripercorrere le tante immagini legate ai tavolini avvolti nel buio delle luci basse, rivedere la grossa lavagna con l’elenco dei musical in cartellone, ripensare alle cartoline lasciate sul tavolo con cui si offriva a tutti i clienti, in cambio di un commento e di un indirizzo email lasciato, la possibilità di vincere una cena per due.
Ho rivissuto in pochi minuti tutte le sere passate al mio minitavolino da viaggiatore solitario che chiede sempre “a table for one, please”, ho avvertito ancora una volta il calore dei sorrisi dei camerieri, l’atmosfera accogliente creata dalle candele accese e dalle abat jour a luce soffusa, e mi sono sentito un po’ più vecchiotto del solito. Il mio presente si stava inesorabilmente trasformando in passato, una parte piacevole della mia vita diventava ricordo immateriale, senza più un logo fisico in cui ritrovare se stesso, e la mia giovinezza si faceva oggi un po’ più vintage di ieri.

Sognavo da anni di portarci presto anche il mio compagno David per raccontare a lui – che per problemi di visto non è mai stato nel Regno Unito – un pezzo importantissimo della città straniera che mi appartiene più di qualunque altra, e invece nulla. Il Chicken Divan e la Chocolate Pot rimarranno nelle tante pagine dei taccuini Moleskine che lì dentro ho riempito, e nei miei tanti ricordi, un po’ più belli o un po’ più brutti a seconda dei momenti in cui, per stare in compagnia o per sentirmi un po’ meno solo, varcavo la soglia della vetrina con gli infissi blu.
Goodbye, Café Emm!


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