Goro Fujita e il dialogo sui robot
Creato il 01 maggio 2015 da Elgraeco
@HellGraeco
Probabilmente siete tra coloro che conoscono Goro Fujita e che ammirano il suo lavoro.
Per farla breve, rimandando i link utili alla fine dell’articolo, Goro Fujita è un Visual Development Artist and Animator.
Traffica in pixel, se così possiamo dire.
Californiano, si dedica alla creazione di opere d’arte.Una parte cospicua, che di sicuro preferisco, della sua produzione è dedicata ai robot. La preferita per svariate ragioni.
Così continuiamo il nostro dialogo con le creature artificiali.
I robot, in tutte le loro forme, fino ad arrivare a androidi e ginoidi e replicanti della natura (e dell’animo) umano, sono convinto siano/saranno la nostra evoluzione naturale.
Dubito ci soppianteranno, più probabilmente condivideremo con loro un futuro sereno di coabitazione pacifica.
Una prospettiva allettante, l’incontro con una specie aliena che noi stessi abbiamo creato e che ci offrirà, per la prima volta, una visione alternativa del nostro mondo, che sarà anche il loro.Le tavole di Goro Fujita sono magnifiche, e ci presentano da subito una dicotomia palese: l’estrema umanizzazione dei robot, contrapposta al loro aspetto assolutamente artificiale.Sono robot umanoidi, nel senso che sono strutturati su forma umana, bipedi, con due braccia, due gambe, una testa e due occhi, e delle mani prensili. E questo è l’unico tratto che li rende “simili” a noi.
Eppure, nonostante la loro forma umana appena abbozzata, appaiono, nelle loro gesta, umani.
Essi sono curiosi, sensibili, occupati a interagire in modo positivo con l’ambiente e con le creature che lo occupano, che siano gatti, uccelli, cani, persino bambini (in un acceso contrasto tra innocenza di carne e sangue e innocenza meccanica, in un reciproco scoprirsi, di prometiana memoria, in perfetto stile Mary Shelley).
E tuttavia, non solo bucolici sono i paesaggi, ci sorprendiamo a ammirare metropoli notturne e consunte, deserti, distese di macerie, dove tuttavia persistono gli incontri, la meraviglia, quasi la speranza.
Interazione con l’ambiente che è la prima attività cui si dedicano gli esseri viventi: scoprire lo spazio, il mondo che li circonda, prenderne le misure, renderlo a misura utile.Ma c’è dell’altro: il mondo è così perché noi lo creiamo in questo modo, attraverso i nostri organi di senso. Una forma simile implica una simile interazione, tralasciandone le intenzioni. e questi robot curiosi e solitari condividono la nostra curiosità e, soprattutto, le nostre malinconie: suonano la chitarra sotto la pioggia, giocano a scacchi partite solitarie, guardano la luna, contemplano paesaggi morenti, sostano in città, magari prendono una semplice pausa dal lavoro, insieme a un gatto che passava di lì per caso.C’è una strana sofferenza, che pervade ogni singola tavola. La sensazione che ne ricavo io, osservandole, è di un futuro pieno di cicatrici. A cui si è giunti dopo strenua lotta contro noi stessi, che i robot vivono perché è ciò che sono riusciti a ereditare da noi altri.
E non si limitano a vivere questa realtà di struggente malinconia, sotto un sole accecane o notti piovose, ma tentano di compenetrare, come facciamo noi altri da secoli, il mistero dell’esistenza, lasciandosi ispirare dal mondo, da creature sconosciute e meravigliose, magari intessendo sulle loro osservazioni una nuova mitologia personale, nuove religioni, per supplire là dove la logica arranca.
Una nuova, coloratissima celebrazione dell’eterno ritorno dell’uguale.LINK UTILI:Chapter 56 (blog di Goro Fujita)
Pagina facebook ufficiale
Potrebbero interessarti anche :