I Gov't Mule sono progrediti molto da quando erano un trio granitico ai confini tra hard-rock-blues e psichedelia, dove la potenza era l'aspetto principale della loro cifra stilistica. Oggi sono più morbidi, multiformi, soul e jazz, un ensemble che con le dovute differenze e ambiti diversi mi ricordano per bravura tecnica, inventiva, cultura musicale, il quartetto di John Coltrane, con la chitarra (le diverse Gibson passate tra le mani di un dimagrito e costipato Haynes) al posto del sassofono. Danny Louis, solito berretto ed occhiali alzati sulla fronte, è un tastierista dotato di grande misura, riempie spazi e accentua sia il groove che il lirismodella band, lavora con l'Hammond ed il piano elettrico ed in entrambi i casi sortisce l' effetto di arrotondare il sound smussando le spigolosità dell' arcigno power trio di un tempo. Matt Abts, sempre più incurvato su sé stesso, è un batterista con pochi uguali oggi nel rock, picchia ma non si vede, ha l'impronta del batterista jazz, dinamico, sciolto, impareggiabile nei cambi di ritmo, nel costruire quei levare su cui si innestano sempre più frequentemente dub e reggae, nell'ammorbidire fino quasi al silenzio lo svolgimento del blues, assecondando il maestro d'orchestra Haynes che in RockingHorse, Sco-Mule, Mule conduce il brano dalle impennate elettriche fino quasi all'esaurimento, al silenzio di poche note e tocchi, prima di risorgere in tutta la sua grandeur. Davanti a lui è Jorgen Carlsson,bassista che si sente, eccome si sente e sa diventare solista. Ma è lui, Warren Haynes il capitano di questa ciurma di navigatori aperti ad ogni mare, affiatati e fantasiosi,capaci di solcare il ritmo sincopato del reggae e abbandonarsi al blues e al senso epico di ballate che, come nel caso di Endless Parade, a parere del sottoscritto la highlights della serata, ti spediscono direttamente in paradiso. I Muli macinano lento, hanno pazienza, sono rigorosi, funambolici e passionali e anche quando sono di mezzo i colpi felini del rock, non si perdono in preamboli e lungaggini inutili, viaggiano nel cosmo psichedelico ma coi piedi per terra e col cuore rivolto al pubblico. Due ore mezza di concerto, chiamarlo show è fuorviante visto la voluta pochezza della loro coreografia, ed un tripudio di entusiasmo da commuovere anche la schiva e composta Milano. I Gov't Mule hanno fatto il loro set, chi si aspettava i bis delle precedenti date, Ventilator Blues oppure Little Wing o Get Behind The Mule di Tom Waits, è rimasto deluso perché signore e signori questi sono i Muli, prendere o lasciare, per loro il karaoke è parola sconosciuta, ed il 90% della scaletta è diversa da quella della serata precedente.
Chiudono con Soulshine intrecciata con Tupelo Honey, poi di nuovo sul palco con 30 Days In The Hole di Steve Marriott, e poi un secondo bis nel rispetto del paese in cui si trovano, quindi l'invito ad unirsi a loro di due armonicisti del blues italiano, il puma di Lambrate Fabio Treves e l'ex W.I,N.D. Fabio Drusin, nella bluesatissima Look On Yonder Wall di James "Beale Street" Clark. Nient'altro da aggiungere tranne sottolineare la miseria della grande stampa nazionale, che per un gruppo simile dedica al più un trafiletto. Pazienza, valgono di più i visi sorridenti, appagati, felici di tanto pubblico, molto meno affaticato rispetto a certe estenuanti performance del passato. Lunga vita ai Muli, chi non c'era si è perso una serata eccezionale.
MAURO ZAMBELLINI Le foto sono di Elena Barusco