Ha quattro anni, gli occhi enormi azzurro chiaro, i capelli biondo miele che scendono in boccoli morbidi fino alla schiena. Non è consapevole della sua bellezza: è più interessata all’ambiente che la circonda, alle sue cose, a non perdere di vista la madre.
La osservo muoversi per le stanze, girarsi a guardarci e penso a sua madre 25 anni fa, quando ci siamo conosciute nell’aula in fondo al corridoio; ora siamo sedute a bere un caffè in una cucina bellissima di una casa nuova, sogno che si realizza, nel tardo pomeriggio di uno di questi giorni pigri di ponte festivo. Ricordo come eravamo, constato come siamo diventate, mi stupisco del viso di questi bambini che stanno crescendo e che erano solo lontanamente immaginati quando attraversavamo a tentativi l’adolescenza, tra le versioni di greco e le risate immotivate e irrefrenabili.
Giochiamo insieme, trasformando cartone dorato e carta da pacchi in corona e velo; decoriamo, tagliamo e incolliamo. E’ circondata dal rosa: i calzini, le bambole, la biciclettina già senza le rotelle ma non è una bambina smorfiosa, piena di mossette e sussiego, di quelle che sembra indossino un tutù che non devono sporcare anche quando vestono jeans e scarpe da ginnastica.
Sa quello che vuole ma lo afferma con gentilezza, è curiosa, esprime chiaramente i suoi desideri, spiega e domanda.
Prima di salutarla le chiedo, con la tipica ovvietà degli adulti a cui pare sempre necessaria la categorizzazione: ” Allora, il rosa è il tuo colore preferito?”.
Mi guarda seria: “No.” Risponde sicuura. “Prima sì, adesso no.”
Penso che sarà una faticaccia intonare i suoi nuovi gusti ai suoi possessi terreni ma la risposta non è ancora completa.
“E’ il fucsia il mio colore preferito adesso”, afferma sicura con un sorriso di oro e azzurro.
Meno male, le bambole possono tirare un sospiro di sollievo: è solo una questione di gradazioni.