Poco più di un mese fa alcuni ricercatori della "Technische Universität München" hanno realizzato un piccolissimo dispositivo elettronico al grafene, in grado di captare e registrare i segnali elettrici prodotti dalle cellule. I risultati della loro sperimentazione sono riportati nella prestigiosa rivista "Advanced Materials". Da anni gli scienziati che lavorano nel campo della bioelettronica tentano di produrre sensori che siano in grado di ricevere, e, possibilmente, anche di trasmettere, segnali alle cellule. Storicamente i segnali elettrofisiologici prodotti delle cellule sono stati studiati soprattutto con dispositivi basati sulla tecnologia del silicio. Tuttavia, questo materiale, essendo rigido e incompatibile con i substrati flessibili oltre che inadatto a operare in ambienti acquosi come i sistemi biologici, non può essere integrato nei tessuti animali. Il grafene, al contrario, è chimicamente stabile e pertanto non reagisce con le altre molecole né subisce variazioni se messo a contatto con l’ambiente cellulare. E' per questo, oltre che per le sue ottime caratteristiche elettriche, che il grafene è un materiale davvero ideale per la produzione di sensori bioelettronici.
Ma è ovviamente l'elettronica per il "computing" il campo che il grafene potrebbe rivoluzionare in modo più radicale, anche in questo caso, sostituendo gradualmente il silicio. L'avvento dell'era dell'elettronica al grafene non solo farà fare un balzo in avanti a miniaturizzazione, velocità di calcolo ed efficienza energetica dei microprocessori ma potrebbe anche aprire la strada alla realizzazione di dispositivi elettronici pieghevoli e potenzialmente integrabili in quasi qualunque oggetto, da vetri e specchi fino a tessuti ed abiti. Un primo passo in questo senso risale alla scorsa estate, quando un team di ricercatori della IBM è riuscito a costruire il primo circuito integrato di grafene. Sfortunatamente questi transistor non potevano essere “compattati” a formare un circuito integrato perché il grafene, anche nel suo stato più isolante, faceva passare troppa corrente causando la fusione degli altri componenti del circuito in pochi secondi. All’inizio di questo mese però è stato pubblicato un articolo che offre una soluzione al problema. Assemblando più strati di grafene a formare transistor tridimensionali (cioè accostando strati di grafene non complanari ma sovrapposti verticalmente) è stato realizzato un nuovo dispositivo chiamato “transistor verticale a effetto tunnel di campo” che è adatto a realizzare circuiti integrati. Il Dottor Leonid Ponomarenko, uno degli autori dello studio, ha dichiarato: “abbiamo fornito un approccio concettualmente nuovo all’elettronica al grafene; il nostro transistor funziona già piuttosto bene, ma ritengo che ci sia spazio per molto miglioramento. Ad esempio si potrebbe ridurne la dimensione a pochi nanometri e si potrebbe fare in modo che operi a frequenze prossime ai teraherz”.
E' per cogliere al volo le grandi prospettive scientifiche, tecnologiche ed industriali aperte dal grafene che è nato il progetto europeo "Graphene-Driven Revolutions in ICT and Beyond" (Graphene) (a questo indirizzo il sito ufficiale). Il progetto Graphene è un altro dei candidati al finanziamento FET Flagship; il suo obbiettivo è quello di riunire una comunità interdisciplinare di ricercatori europei che, in collaborazione con l'industria, punti a sviluppare tecnologie radicalmente innovative nel campo dell'ITC ("information and communication technology"). Questo permetterebbe di sfruttare appieno le proprietà di questo straordinario materiale per dare vita ad una vera e propria rivoluzione tecnologica che vedrebbe l'Europa in prima linea.
Voglio concludere questo post con un bel servizio di "Super Quark" che contiene una interessante intervista a Valeria Nicolosi, una giovane ricercatrice italiana emigrata all'estero che parteciperà, insieme al gruppo da lei diretto, al progetto Graphene.