Il Grand Budapest Hotel non è solamente un albergo: è uno spazio della memoria, in cui veniamo proiettati grazie ai ricordi dei personaggi, dapprima dello scrittore che si propone di raccontare la storia, in seguito del protagonista, l’anziano proprietario dell’albergo dal nome evocativo, Zero Mustafa.
La versione anziana di Zero racconta la vita dell’albergo alla versione giovane dello scrittore, e ci trasporta in una dimensione quasi onirica, nel periodo di splendore del Grand Budapest Hotel, in cui domina la figura di Monsieur Gustave, interpretato da Ralph Fiennes, concierge e gestore dell’albergo. La serie di vicende che investono il giovane Zero e M.Gustave, che vanno dall’improbabile al rocambolesco, non lasciano respiro allo spettatore, che non può che seguirle con divertimento ed interesse.
A condire ulteriormente il film, Wes Anderson propone delle scenografie decisamente particolari, che sembrano ricordare quelle pellicole colorate a mano del cinema delle origini. Queste contribuiscono di molto all’aspetto surreale di tutta la vicenda: l’albergo rosa sembra infatti lo spazio di un sogno, uscito da un album da disegno per bambini, in cui non stonano gli eccentrici personaggi che il regista porta sullo schermo.
Il cast di assoluto rilievo non delude nemmeno per un momento, forse anche perché non sfruttato al massimo del suo potenziale. Mentre Ralph Fiennes, infatti, domina la scena con un personaggio per lui inconsueto, Adrien Brody, Bill Murray e lo stesso Jude Law, che interpreta il giovane scrittore, rimangono relegati a ruoli minori, in dei deliziosi cammei che si susseguono sulla scena, non lasciando mai uno spazio “vuoto”. Sorprendono poi le interpretazioni dei più giovani: Tony Revolori, nel ruolo di Zero, interpreta con assoluta eleganza un personaggio discreto e socialmente non riconosciuto, come il suo stesso nome descrive, mentre Saoirse Ronan porta in scena Agatha, la pasticcera di cui Zero si innamora, con una voglia a forma di Messico sulla guancia.
Grand Budapest Hotel, come documentano i botteghini, è una delle commedie di Wes Anderson meglio riuscite, in quanto, pur conducendo lo spettatore in un mondo onirico e spensierato, offre un’attenta riflessione sulla realtà.