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Grande Chambre: legittimo il divieto austriaco di fecondazione eterologa

Creato il 07 novembre 2011 da Uccronline

Grande Chambre: legittimo il divieto austriaco di fecondazione eterologa

 
di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto
 

Ben un anno or sono, il 12 novembre 2010, l’ANSA riportava la notizia che una donna cinquantenne messicana aveva prestato il proprio utero al figlio Jorge, imprenditore omosessuale di 31 anni. La donna ha ricevuto l’embrione creato dall’ovulo donato da un’amica del figlio e dallo sperma del figlio medesimo. Alla ribalta della stampa mondiale, aveva dichiarato dopo il parto: «In realtà quando mi chiamano mamma mi sento strana, e lo stesso succede quando mi sento dire nonna».

Sebbene singolare possa apparire questa dichiarazione, è tuttavia assolutamente naturale, poiché indica che la donna è stata pro-vocata, cioè chiamata, dalla propria stessa coscienza (sebbene in modo tardivo) ad indagare sulla discrasia tra il proprio essere ed il proprio dover essere. Per il tramite delle procedure di fecondazione eterologa e prestito di utero (cioè di maternità surrogata) è madre e nonna; e all’un tempo, come è semplice arguire, non è madre e non è nonna. Il marmoreo nosce te ipsum che troneggiava sul tempio di Delfi, sunto della geometria razionale del pensiero greco, si frantuma nell’operazione tecnica portata avanti dalla madre e dal figlio, facendo precipitare ciascuno di loro in una crisi di coscienza, in una crisi circa il proprio essere, in una crisi circa il proprio dover essere. Tutti sono vittime del proprio operato e la coscienza di ciascuno, come si vede dalle parole della madre-nonna, richiama presto o tardi tutti all’ordine, all’ordine naturale, all’ordine della giustizia.
E’ qualcosa di profondamente ingiusto, infatti, aver creato un bambino come un qualunque prodotto commerciale; è ingiusto, kantianamente, considerare il bambino il mezzo con cui soddisfare il proprio desiderio o bisogno di essere genitori ad ogni costo; è ingiusto privare ciascuno del proprio ruolo così come la natura lo ha sancito, per confonderlo con quello degli altri (dando vita alla figura della madre-nonna, o del padre-fratello, per esempio); è ingiusto privare il bambino nato in questo contesto del diritto a vivere in una famiglia naturale. Tutto questo fortunatamente non è possibile negli ordinamenti in cui è vietato procedere a fecondazione eterologa, cioè con il donatore esterno alla coppia.

E proprio ciò è stato l’oggetto della sentenza della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con cui si è dichiarato legittimo il divieto posto dall’Austria per un tipo di fecondazione eterologa. La Grande Chambre ha ritenuto, infatti, che la norma austriaca in questione non comporti una violazione degli articoli 8 (Diritto alla vita privata e familiare) e 14 (Divieto di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come sostenuto invece dai ricorrenti, poiché come si evince, l’Austria ha posto in essere un proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti, cioè «dignité humaine, bien-être des enfants et droit à la procréation». Ad una prima superficiale ricognizione, dunque, la decisione della Grande Chambre sembrerebbe perfettamente condivisibile, ma scandagliando in profondità, verso le fondamenta concettuali che sorreggono la suddetta sentenza, la realtà muta d’aspetto e si tinge di colori più foschi che rosei. Rectius: sebbene la decisione della Grande Chambre sia corretta, le ragioni che l’hanno determinata destano diverse perplessità.

Il giudice europeo infatti, se da un lato ha ritenuto legittimo l’intervento dell’Austria che ha disciplinato la PMA vietando la donazione di seme maschile nel caso di FIVET (cioè di Fecondation in vitro-embryo-transfer) e lasciandola ammessa in caso di GIFT (cioè di Gamete Intrafallopian Transfer), ritenendo così che in quest’ultimo caso sarebbe tutelato il rapporto madre-figlio, altrimenti a rischio nel primo, per altro verso ha costruito il proprio convincimento su motivazioni davvero pericolanti. La Grande Chambre, infatti, ha ribadito che la scelta legislativa dell’Austria è legittima perché in linea con i suoi propri riferimenti culturali e sociali. La decisione si svela come fondata su una forma di relativismo sociologico. Concludendo, il ragionamento della Grande Chambre si può inferire che al mutare delle condizioni sociali e culturali sarebbe altrettanto legittimo mutare la situazione giuridica, al punto che se oggi è vietata la eterologa, totalmente o parzialmente, un domani, con condizioni differenti, sarebbe altrettanto legittimo ammetterla. Non sarebbe peregrina l’ipotesi che lo stesso giudice europeo potrebbe esprimersi in senso diametralmente opposto a quello in questione, cioè in senso favorevole alla PMA eterologa, se il Paese coinvolto fosse un altro o lo stesso a distanza di tempo e con profonde differenze assiologiche rispetto al passato. Ecco quindi che la sentenza in questione sebbene rappresenti un risultato in sé positivo, che potrebbe contribuire ad evitare i disastri etici come quello messicano più sopra riportato, è pur sempre da considerare con la dovuta cautela per le considerazioni appena effettuate.

Questa volta, si può ritenere, sia andata bene, ma la prossima, considerata la premessa, potrebbe avverarsi un vero e proprio naufragio giuridico per via giurisprudenziale pari, per gravità ed assurdità, al caso messicano. La Grande Chambre, in conclusione, sembra allora più attenta non tanto alla giustizia ed alla ontologia del diritto e della persona, quanto piuttosto ai cambiamenti sociali, ad una concezione formalistica della legge ed alle fluttuazioni del pensiero politico ed ideologico dei singoli Stati in determinati contesti storici, tal che sarebbe più prudente assumere un atteggiamento più guardingo seguendo l’esempio del saggio Laooconte: «Timeo Danaos et dona ferentes».


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