E’ tra le più longeve serie di fantascienza. Ha vinto un’infinità di premi, tra i quali 16 Emmy e 5 Golden Globe. Nel corso delle sue 9 stagioni, si è trasformata da prodotto di nicchia a serie cult, diventando uno dei più grandi successi televisivi di tutti i tempi. Tredici anni dopo la fine della serie originale, gli agenti dell’FBI Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson) tornano a indagare sugli eventi paranormali, e apparentemente inspiegabili, con una nuova attesissima stagione, in 6 episodi, di X-Files
La premiere, trasmessa in USA dal canale FOX domenica 24 gennaio, ha incollato ai teleschermi ben 16,2 milioni di statunitensi, a cui bisogna aggiungere gli oltre 5 milioni che hanno seguito, nei tre giorni successivi, l’episodio on demand e sulle piattaforme Hulu e FOX Now, raggiungendo un pubblico complessivo di 21 milioni di spettatori. Invece il secondo episodio, in onda lunedì 25 gennaio, ha raccolto 9,6 milioni di spettatori, in calo rispetto allo straordinario risultato dell’esordio.
In Italia la miniserie è trasmessa dal 26 gennaio su FOX (canale 112 di Sky), a 24 ore dalla messa in onda in USA. Il primo episodio è stato seguito da 654 mila spettatori, registrando il miglior esordio assoluto, di una serie, sui canali Fox, mentre il secondo da 621 mila spettatori.
Il critico Aldo Grasso racconta sul Corriere della Sera il ritorno di Mulder e Scully, stanchi e invecchiati dopo 13 anni. Dalle indagini paranormali di X-Files ai misteri di Twin Peaks, la tv rilancia i telefilm di culto ma la nostalgia non basta:
Dopo tredici lunghissimi anni (nella serialità gli anni procedono in maniera esponenziale), gli agenti Mulder e Scully tornano a indagare sul paranormale. Un po’ invecchiati, un po’ sfatti, come pretende il copione. Dal fatale 11 Settembre tutto è cambiato: l’FBI ha chiuso la sezione che si occupava di X-Files, gira una strana aria di complotti e cospirazioni, ma le ossessioni personali di Mulder (David Duchovny) sono ancora ben vive. Tad O’Malley (John McHale), un conduttore di talk show, lo informa del caso di Sveta, una ragazza rapita dagli alieni. L’agente decide di parlarne a Scully (Gillian Anderson) e di convincerla a tornare a indagare insieme, pur sapendo di dover prima superare il muro dell’ostinato scetticismo della sua collega. Ma Mulder è determinato, vuole ancora credere. È convinto che la verità sia ancora là fuori. In video appaiono i volti degli ultimi presidenti degli Stati Uniti e Mulder, in piena paranoia, è convinto che l’America stia per essere sottomessa a una élite di potere internazionale. Ma, tredici anni dopo, la domanda che torna imperiosa è questa: gli alieni ci sono o non ci sono? E davvero nel sangue di Scully ci sono tracce del Dna degli alieni? In realtà la vera domanda che dobbiamo porci è un’altra. Era il caso di riproporre «X-Files»? Per tentare di dare una risposta dobbiamo prima chiederci cosa ha rappresentato la creazione di Chris Carter nella storia del nostro immaginario televisivo. Com’è noto, con il nome X-Files vengono catalogati dall’FBI i casi insoluti e inspiegabili. Mulder è ossessionato dagli extraterrestri, poiché è convinto che gli abbiano rapito la giovane sorella Samantha; Scully, un medico, è scettica e pragmatica, ed è stata affiancata a Mulder per controllarlo e demolire la sue teorie. Nella quotidianità della provincia americana, emergono fenomeni paranormali che pongono inquietanti interrogativi. L’ambiguo e polimorfo mito della science-fiction soddisfa molte attese, compresa quella della fantasia. Desiderio tipico di quegli appassionati che, avendo conservato dall’infanzia il gusto della fiaba e dell’avventura — la capacità di divertita meraviglia —, non si sentono di opporre accigliati rifiuti all’idea di accogliere anche le più stravaganti volute dei sogni: l’impossibile che diventa possibile. Per questo non ci sono mai risposte soddisfacenti e, al termine di ogni episodio, il mistero si infittisce ancora di più. Nello stesso tempo, il comportamento «cool», freddo, dei due protagonisti (all’inizio non si amano, sembrano fratello e sorella, sono vaccinati dall’autoironia) mantiene lo sbalorditivo del racconto a temperatura ambiente: i fenomeni indagati surriscaldano la storia, loro la raffreddano. Sospesa fra science-fiction e detective story, la serie ha saputo descrivere la società di fine millennio, con le sue paure e i suoi interrogativi. Molto curata dal punto di vista formale e della realizzazione (il solo pilot a suo tempo è costato due milioni di dollari), è ascesa rapidamente a cult internazionale. Le frasi che compaiono nei titoli di coda «La verità è fuori di qui» e«Non fidarti di nessuno» sono diventate vere e proprie massime. Chris Carter ha dimostrato di essere un grande narratore, capace di condensare in una visionecompatta e affascinante le mille esagerazioni della nostra cultura. Ma quello che doveva dire non lo ha forse già detto? Staremo a vedere. Per ora la prima puntata (trasmessa su Fox) è poco più di un riassunto. Qualcosa di simile potrebbe capitare presto a un altro cult della serialità, «Twin Peaks». Pare che nel 2017 sarà possibile vedere la terza stagione del capolavoro di David Lynch. Almeno stando alle dichiarazioni di David Nevins, presidente del network Showtime. «Twin Peaks» è stato uno dei più singolari viaggi metafisici fra i segreti del Male. La storia, com’è noto, ruota intorno a un assassinio: chi ha ucciso Laura Palmer? La foresta che si estende alle spalle del paese nasconde segreti, notturne inquietudini; la verità si confonde tra allucinazioni e realtà. Harry Truman (Ont Kean), lo sceriffo, e Dale Cooper (Kyle MacLachlan), agente dell’Fbi, affrontano un caso inusuale e indecifrabile. Tutto concorre a creare un’atmosfera torbida e allo stesso tempo accattivante, e l’ambiguità quasi perversa che emerge nel corso degli episodi sembra non abbandonare mai il piccolo paese: nel racconto manca una netta divisione tra «buoni» e «cattivi», tutto si ribalta e si confonde continuamente senza offrire un punto di riferimento stabile e rassicurante. «Twin Peaks» ha segnato un’ epoca. Televisiva, e non solo. È stato un sigillo di autorialità posto sulle serie. È stato l’inquietudine degli anni Novanta, e la colonna sonora firmata da Angelo Badalamenti è indimenticabile. È proprio necessario rimettere sempre in discussione la memoria?