Dopo aver passato in rassegna per qualche mese i protagonisti della fotografia italiana degli ultimi decenni, facciamo un salto oltreoceano per parlare di colui che viene oggi considerato uno dei più geniali fotografi di tutti i tempi: David LaChapelle (Fairfield, 11 marzo 1963).
Nato in una cittadina del Connecticut, questo artista poliedrico manifesta una vocazione artistica precoce. Inizia a frequentare una scuola d’arte nel North Carolina, ma presto compie il grande salto e si trasferisce a New York, dove s’iscrive contemporaneamente alla “Art Student League” e alla più celebre “School of Arts”. Non ha ancora terminato gli studi quando i suoi primi scatti, esposti in qualche galleria newyorchese, attirano l’attenzione di Andy Warhol, all’epoca già un guru dell’arte statunitense, che gli offre di collaborare alla prestigiosa rivista “Interview”: inizia così un sodalizio che durerà fino al 1987, anno della scomparsa di Warhol.
Dopo una breve parentesi londinese e il servizio militare nei marines, LaChapelle si stabilisce definitivamente a New York, lavorando per tutte le più prestigiose riviste di moda.
Diventano famosi i suoi nudi, soprattutto maschili, molto enfatizzati come è tipico del mondo omosessuale, a cui il fotografo dichiara presto la sua appartenenza. L’epidemia di AIDS, che negli anni ’80 uccide molti suoi amici, lo porta a riflettere sul tema della morte, attraverso una serie di scatti in cui la raffigura come presenza inquietante nella vita quotidiana.
Nel 1996 viene premiato come fotografo dell’anno e pubblica il primo libro fotografico, “LaChapelle Land”: nella postfazione, l’autore dichiara che “se è avanzato qualche esibizionista che vuole essere ritratto, io sono pronto”, e questo offre già un’idea del contenuto dell’opera, che comprende ritratti di persone, più o meno famose, colte in pose e ambientazioni molto bizzarre e irriverenti.
è grazie a questo volume che il grande pubblico inizia a conoscere uno stile sorprendente e personalissimo: molto lontane dai canoni della fotografia “classica”, che tanto spesso predilige il bianco e nero, le immagini di LaChapelle sono prima di tutto coloratissime e dai toni molto accesi. Qualcuno è arrivato a definirlo “il Fellini della fotografia”, e in effetti si possono trovare molte affinità tra le sue composizioni e le scenografie dei film del grande regista italiano, oltre alla larga influenza della pop art, che domina l’ambiente artistico di New York in quegli anni.
LaChapelle è spesso ironico, dissacrante, sontuosamente barocco con larghi sconfinamenti nel kitsch. Niente di più lontano dalle istantanee dei fotoreporter di cui ricordiamo famosi scatti irripetibili, colti al volo nella realtà in cui si muovevano: qui siamo in un mondo sapientemente costruito in studio, in cui il fotografo dapprima dispone i modelli e la scena da ritrarre come potrebbe fare un pittore, completando poi l’opera attraverso un uso dichiarato dei programmi di elaborazione digitale.
Il volume successivo, “Hotel LaChapelle” (1999) è, secondo la definizione di un critico americano, “pieno di neon, sesso e strana gente”, ed è come una sequenza di stanze immaginarie di un pazzo hotel del tutto surreale.
A partire dagli anni duemila, all’attività fotografica si affianca quella di regista, che porta LaChapelle a realizzare una gran quantità di videoclip musicali per quasi tutti gli artisti sulla cresta dell’onda nell’ultimo decennio: Elton John, Britney Spears, Robbie Williams, Christina Aguilera, Whitney Houston, Jennifer Lopez e molti altri, che vengono anche ritratti nei modi più impensati.
“Jesus is my homeboy” (2003) è invece una serie d’immagini pubblicitarie, realizzate per uno stilista americano di moda maschile, dove in mezzo a gruppi di ragazzi abbigliati in stile underground compare un inatteso Gesù, vestito secondo l’iconografia tradizionale e avvolto da un’aura luminosa, con chiari riferimenti ad alcuni celebri episodi evangelici, come l’Ultima Cena o la Resurrezione.
Considerando tutto quanto è stato prodotto fino a oggi dall’inarrestabile creatività di LaChapelle, possiamo essere certi che le sue fotografie continueranno a stupirci ancora molto a lungo negli anni a venire.
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