Grandi fotografi grandi narratori – Elliott Erwitt

Da Sulromanzo

Tra le numerose fotografie in bianco e nero che ciascuno di noi ha sicuramente visto almeno una volta nella vita, e che sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo come testimonianze indelebili del ventesimo secolo, è impossibile che non ce ne sia almeno una scattata da Elliott Erwitt (Parigi, 26 luglio 1928), americanizzazione di Elio Romano Erwitz.
La madre Evgenia, ricca moscovita, e il padre Boris, studente di architettura di Odessa, incontratisi a Istanbul nel breve periodo di felice fervore intellettuale e artistico sovietico che segue la rivoluzione, ma che sarà presto soffocato dallo stalinismo, salgono insieme sul mitico treno Stanboul, analogo all’Orient Express, che li porta a Trieste dove si sposano.
Si trasferiscono, poi, a Roma (da cui il nome Romano) e, infine, a Milano, dove il figlio frequenta le scuole diventando perfettamente bilingue. Il padre è, però, di indole irrequieta, alla perenne ricerca di un’affermazione che non arriva mai, così il primo settembre 1939 la famiglia s’imbarca per l’America, anche per sfuggire alle persecuzioni antisemite ormai dilaganti, sbarcando a New York cinque giorni dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

L’undicenne Elliot, che non sa una parola d’inglese, viene iscritto a una scuola elementare, per finire, tre anni dopo, in California, alla Hollywood High School, con risultati disastrosi: ma è forse proprio a causa della difficoltà di comunicazione verbale di quei primi anni americani che sviluppa una particolare attenzione per quella visiva. Dopo la separazione dei genitori, Erwin torna a New York e lascia gli studi per svolgere svariati mestieri, tra cui quello di assistente in un laboratorio fotografico, dove impara a usare la camera oscura. Svolge anche il servizio militare come assistente fotografo ed è Roy Stryker, direttore del dipartimento di fotografia della Farm Security Administration (ente governativo per la fotografia documentaria), che lo assume a lavorare in un importante progetto per la Standard Oil, ma dopo pochi anni di attività freelance, nel 1953, Robert Capa lo introduce nella famosa agenzia Magnum.

Da allora Erwin svolge grandi servizi per l’agenzia, occupandosi sia di attualità sia di campagne pubblicitarie per aziende famose, ma seguendo sempre un doppio percorso: durante i suoi spostamenti: accanto alle voluminose attrezzature professionali non dimentica mai di portare con sé una Leica M3, piccola e maneggevole, di cui fa un uso strettamente personale, registrando tutto ciò che lo colpisce in modo particolare; molte delle immagini per cui è diventato famoso nel mondo saranno state scattate proprio da quest’apparecchio.

Dagli anni Settanta, Erwitt svolge anche un’intensa attività di documentarista e sceneggiatore di serie televisive, senza mai abbandonare la fotografia, sia commerciale, sia artistica.

Attraverso la sua vastissima produzione, poi raccolta e pubblicata in diversi volumi, Erwitt ci offre una visione del mondo molto personale, sempre in bianco e nero, che ignora per lo più il paesaggio per concentrarsi quasi esclusivamente su persone e animali, colti in atteggiamenti apparentemente insignificanti e a volte anche comici, ma sempre in grado di suscitare empatia nell’osservatore.
Il suo è un mondo gentile, forse un po’ troppo ottimistico e vagamente fuori dal tempo, nel quale non c’é mai spazio per violenza, guerre, crudeltà e dove non compaiono né quartieri degradati né dimore sontuose, ma dominano cani, bambini e famiglie numerose, mentre anche i personaggi famosi sono ritratti nella massima spontaneità.

Da figlio unico, cresciuto senza radici in troppi luoghi diversi e con due genitori male assortiti, Erwitt sembra spesso idealizzare la quieta vita familiare che gli è stata negata, tuttavia le sue fotografie non appaiono nemmeno troppo sdolcinate: sono sempre immagini altamente indicative del nostro recente passato e in grado di colpire, divertire o emozionare tutti noi.


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