Nuova rubrica fra fotografia e letteratura: Roman Vishniac, fotografo di Tien'anmen
Esiste una categoria di narratori che non si trova sugli scaffali delle biblioteche, o almeno non in volumi destinati alla lettura, vale a dire romanzi o raccolte di racconti: sono coloro che hanno cercato di raccontarci delle storie attraverso gli obiettivi delle loro macchine fotografiche, raggiungendo spesso i vertici della celebrità anche al di fuori del loro settore specifico.
Chi non conosce l’immagine del “bacio” nelle strade parigine di Robert Doisneau, o quella del miliziano ferito a morte durante la guerra civile spagnola immortalato da Robert Capa? E questo anche se spesso chi ricorda una fotografia, che è stata in grado di catturare la sua attenzione, non memorizza il nome dell’autore, oppure lo ignora completamente: quasi nessuno sa che Jeff Widener, fotografo americano, è autore dell’immagine dello studente cinese in piedi davanti ai carri armati in piazza Tien’anmen durante la rivolta del 1989, eppure quel suo scatto è stato riprodotto nel mondo all’infinito.Esaminare le opere di questi fotografi è il modo più semplice per rileggere gran parte della storia del ventesimo secolo, scritta in un linguaggio più accessibile di quello spesso usato dagli autori di ponderosi volumi storici.
Si può cominciare, ad esempio, da Roman Vishniac, nato nella Russia zarista nel 1897 e morto negli Stati Uniti nel 1990, artista eclettico le cui opere sono importanti sia dal punto di vista storico che da quello scientifico, perché ha dato contributi notevoli allo sviluppo della fotografia al microscopio.Il percorso di Vishniac nasce infatti in ambito scientifico, tra biologia e medicina, quando fin da ragazzino impara ad applicare una macchina fotografica al microscopio con cui compie le sue prime osservazioni di microrganismi.
Nel 1918, a causa dell’antisemitismo crescente, la sua famiglia lascia la Russia per trasferirsi a Berlino, scelta che in seguito si rivela ovviamente poco felice, finché, dopo varie avventure, nel 1940 Vishniac riesce a trasferirsi con moglie e figli da Lisbona agli Stati Uniti, dove inizia faticosamente a ricostruirsi un’esistenza. Non potendo lavorare come scienziato per la scarsa conoscenza della lingua inglese, si arrangia a fare il fotografo ritrattista, ed è di questo periodo un celebre ritratto “rubato” ad Albert Einstein, destinato a diventare il più amato dal grande scienziato.
È per questo che sfogliare le pagine di “Un mondo scomparso” rimane oggi l’unico modo per cercare di capire chi fossero e come vivessero i membri delle comunità ebraiche sparse fra Polonia, Lituania, Russia, Romania e Cecoslovacchia: persone spesso costrette a vivere miseramente fra mille difficoltà, ma ancora ignare che il peggio, per loro, sarebbe giunto di lì a poco, quando sarebbero state cancellate dalla faccia della Terra assieme alle loro povere case e alle loro tradizioni.