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Grani & Pani, conversazioni con agricoltori, molitori, panificatori ed esperti del settore

Da Forchettinagiramondo @BrandiChiara

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Due giorni di incontri, dibattiti e degustazioni intorno agli aspetti storici e culturali del frumento, la sua coltivazione, le diverse pratiche agronomiche e di molitura, gli aspetti nutrizionali e gastronomici. Due giorni focalizzati sul grano, la farina, il pane in Toscana ed il pane in Italia. Questa è stata la prima fortunata edizione di Grani&Pani, il forum patrocinato da Expo2015 e dal Comune di Firenze, interamente dedicato al frumento e che ha riunito nella prestigiosa sede dell’ Accademia dei Georgofili, chef, produttori, agricoltori, agronomi, mugnai, panificatori e semplici appassionati e curiosi, nonché amanti del buon pane.
Molti gli spunti di riflessione interessanti, nonostante abbia potuto partecipare solo all’ultima sessione, quella sui pani italiani in cui sono intervenuti i panificatori Davide Longoni, Enrico Giacosa, Alessandro Battazza, Beppe Concordia e Vincenzo Coppola, agronomo collaboratore di Franco Pepe.
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Iniziamo da questo assunto: oggi la panetteria è un osservatorio sulle abitudini alimentari del paese. Si è passati da anni (dopoguerra) in cui il pane poteva essere solo bianco (i pani scuri erano un triste ricordo degli anni di guerra), alla moda nei primi anni ’80 dei pani integrali, presunti dietetici o supposto tali, fino alla ricerca di farine speciali, soia, multicereale etc…di epoca più recente. Negli ultimi tempi sono i grani antichi e le diverse tecniche di lievitazione a fare la differenza e interessare i consumatori. Il fornaio è il vero tramite tra chi coltiva e produce (agricoltori e molitori) e chi consuma, fa da ambasciatore, è colui che fa incontrare questi due mondi altrimenti distanti.
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La riscoperta dei grani antichi non è solo legata ad una scelta di gusto, ma apre anche altri scenari. Oltre a regalare un profilo organolettico e nutrizionale superiore, sono, analogamente al vino, legati ad un determinato terroir. Raccontano un territorio, la sua storia, le sue tradizioni. Hanno un valore che va oltre quello puramente alimentare, diventa un aspetto culturale di un territorio che vale la pena riscoprire e tutelare.
Non poteva mancare il tema più dibattuto degli ultimi anni: lievito madre o di birra? Emblematica, secondo me, la posizione di Vincenzo Coppola, agronomo che lavora con Franco Pepe (tra i migliori pizzaioli d’Italia secondo la recentissima classifica di Gambero Rosso): “nella vita ci si deve accontentare, l’ottimo non è perseguibile“. Se il lievito madre ha una serie di caratteristiche che lo rendono superiore, è innegabile che la sua gestione sia molto complessa, ed in alcuni casi, come nella lavorazione della pizza, quasi impossibile se si vuol mantenere un’alta e costante qualità del prodotto finito. La scelta di Franco, è stata chiara: si è “accontentato” del lievito di birra, ma allo stesso tempo riesce a servire una delle pizze riconosciuta tra le più buone del paese. Scelta diversa, ad esempio, quella del panificio Longoni che invece ha fatto della pasta madre una delle sue bandiere, tanto che secondo Davide il lavoro del panificatore è assimilabile a quello dell’enologo, sono tutti e due dei “fermentatori”. Bella immagine che riporta alla materialità del mestiere, ma anche alla sua complessità.
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Poi ci sono le nuove generazioni, come Alessandro Battazza di Lièvita. Ragazzi che partono dal nulla, senza padri o nonni panificatori, che decidono di intraprendere questo affascinante e faticoso mestiere. Studiano, imparano nelle botteghe dei colleghi e poi partono con un loro progetto originale. O come il Forno Briza, che a breve aprirà a Bologna grazie all’intraprendenza di un gruppo di amici, Giovanni, Pasquale, Davide ed Esmeralda. Un panettiere, un pizzaiolo e due mastri birrai, ciascuno laureato in altre discipline, hanno scelto di dedicare il loro progetto di vita al frumento ed ai lieviti e così è nato Breaders, il primo forno con birre agricole.
Si è parlato anche di progetti di filiera completa, progetti di cooperazione e collaborazione tra chi il pane lo produce e chi fa nascere il grano. Come quello che Enrico Giacosa da Alba sta portando avanti insieme ad altri panificatori delle Langhe. O come quello di Franco Pepe, del grano “nostrum” proveniente da 13 comuni diversi della sua zona.
Progetti in cui i saperi e le competenze si integrano, tra chi la farina la lavora e chi la produce: lavorano con l’agricoltore, studiano il grano e lo seguono nei nove mesi finché non nasce. Nove mesi, partendo da un seme, come per far nascere una vita. È l’affascinante il mondo del chicco di grano, pieno di sfumature, aromi, sapori e colori, che finiranno poi sulle nostre tavole per una esperienza di gusto quotidiana e tutt’altro che banale. Spesso finisce per essere un gesto automatico, a volte ripetuto senza pensare, a cui non diamo troppo peso, ma che merita la massima consapevolezza. Perché spezzare il pane con le mani è un gesto carico di simboli e di sapori, che vanno assaporati con consapevolezza.
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Nella speranza e nell’attesa della prossima edizione, fino a 30 Ottobre sarà visionabile presso l’Accademia dei Georgofili un percorso storico- documentale sul frumento e sul pane ed a breve dovrebbero essere disponibili per tutti gli atti del convegno al completo. Tenete d’occhio la pagina Facebook dell’evento per sapere quando saranno disponibili.


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