Ci aggiravamo, sempre nella nebbia bassa (che destino questo del mais di finire la sua vita nella lattiginosità inquietante di questo umidore padano) tra le parcelle, valutando le dimensioni delle spighe gonfie ed erette, come orgogliosi misirizzi, nella loro mostruosa produttività, o apprezzando piuttosto l'assenza di marciumi, segno di maggiore resistenza della nuova cultivar. Farsi largo tra culmi che crocchiano al tuo passaggio, cercare di evitare le fastidiose carezze maligne dei bordi fogliari taglienti, resistere al prurito causato dal polverino rinsecchito che aleggia tra le file. Ma la curiosità di valutare, di far paragoni, di scegliere quello che ti pareva un miglioramento davvero utile, era comunque stimolante e pieno di interesse. Ora tutto questo è morto, nessuno fa più ricerca in Italia, non interessa investire in tecnologia, non è considerato importante pensare al domani. Sembra un costo. Incredibile, così tutte le linee, i frutti di decenni di studi, se le sono comprate gli altri che adesso ce ne rivendono i frutti. Per tutto il comparto sementiero, siamo ormai completamente dipendenti dall'estero. D'altra parte i soldi servono per altro. I 42 miliardi di euro per i nuovi cacciabombardieri, quelli ci sono.
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