Ci sono un'infinità di comportamenti che ciascuno di noi non condivide, giudica inopportuni, immorali, ingiusti, dannosi, stupidi, inaccettabili ecc ecc. Ciascuno di noi ha un proprio “mondo morale” tramite il quale si relaziona con il mondo, nell'ambito del quale individua i comportamenti più o meno accettabili, in base al quale magari seleziona le sue amicizie e più in generale le sue relazioni, ma che non può costituire il metro sul quale fare le leggi. Esattamente come i credenti possono ben ritenere qualcosa un peccato ma non possono pretendere che solo per questo diventi reato. Morale e diritto sono due piani totalmente diversi.
In una democrazia liberale le leggi non devono disegnare un mondo morale (che possibilmente coincida con il nostro) ma consentire il più ampio margine possibile di autonomia agli individui, mettendo dei limiti al solo scopo di tutelare gli altri. Dunque, per esempio: il divieto di fumo nei locali pubblici è sensato perché tutela chi non vuole subire il fumo passivo, ma un divieto di fumo tout court in nome della salute di ciascuno sarebbe inammissibile: ciascuno deve essere libero di decidere autonomamente se farsi del male fumando o no (ovviamente, poiché una scelta consapevole implica un'adeguata conoscenza, le istituzioni sono tenute a fare campagne di informazione sui rischi del fumo).
Si può ritenere il fumo dannoso e allo stesso tempo non volere mai che venga vietato per legge. Si può ritenere la fedeltà un valore e non volere mai che gli adulteri siano puniti per legge. Si può ritenere il ricorso alla chirurgia estetica un'espressione dell'incapacità di invecchiare ma non per questo pretendere che sia vietata per legge. Si può ritenere l'assunzione di droghe una manifestazione di debolezza e un grave danno alla salute e allo stesso tempo impegnarsi affinché siano legalizzate. Si possono giudicare i tatuaggi orrendi ma non pretendere che vengano vietati per legge. Si può ritenere la promiscuità sessuale un disvalore ma non per questo si deve chiedere di vietarla per legge. Si può ritenere inopportuno che si diventi padre a 60 anni (Vendola ne ha 58...) ma che vogliamo fare? Mettere un limite di età per legge? E potremmo continuare a oltranza con gli esempi, per dimostrare: a) che i giudizi morali e le leggi di uno Stato non coincidono e b) che accettare che un comportamento sia consentito e regolamentato dallo Stato non comporta nessun obbligo di condivisione morale di quel comportamento.
In qualunque dibattito su questioni che riguardano le scelte delle persone, in una democrazia liberale le disquisizioni morali non dovrebbero avere luogo. Io non sono a favore della legalizzazione delle droghe perché penso che drogarsi sia positivo. Ragionare in questi termini significa confondere le acque. L'equazione “se sei contro le droghe allora sei per vietarle” è illogica, e perversa. Si può continuare a essere contro il divorzio, pur avendo votato a favore della legge sul divorzio. Solo l'ignoranza, o una inclinazione fondamentalista purtroppo molto diffusa, può vedere in questo una contraddizione.
Di fronte a un malato terminale che chiede l'eutanasia la domanda da porsi non è se sia giusto o sbagliato: ognuno avrà una risposta diversa, o magari nessuna risposta. La domanda è: chi altri tranne che la persona in questione è titolata a decidere? Perché non possiamo pretendere che ciascuno decida per sé quel che noi (o una religione, o la natura, o una qualunque altra autorità, o il logos, o... o... o...) riteniamo giusto.
E veniamo al tema di questi giorni. Seguendo il filo del ragionamento che abbiamo appena fatto, quando parliamo di gravidanza surrogata, tutte le disquisizioni sulle motivazioni dei vari soggetti sono del tutto irrilevanti al fine di decidere cosa consentire o no per legge (ovviamente sono rilevantissime all'interno del nostro mondo morale. Ma, come abbiamo detto, questa è un'altra storia). Ciascuno di noi compie le proprie scelte in base a una infinità di motivazioni, spesso intrecciate fra loro e non è compito della società giudicarle. È certo compito delle istituzioni rimuovere quanto più possibile le condizioni esterne che potrebbero influenzare la decisione (come situazioni di indigenza economica ecc.), ma dopo di che ciascuno deve poter compiere le proprie scelte in completa autonomia. Cosa io penso poi di quelle scelte, è affar mio. (E non sempre tra l'altro si deve avere un giudizio chiaro sulle cose. Esercitare l'arte del dubbio, specie quando si tratta della vita degli altri, è sempre cosa buona e giusta.)
Nel dibattito sulla surrogata il vero e unico argomento che ha un certo rilievo è che tale scelta è presa da alcuni soggetti ma ha delle conseguenze rilevanti su un altro soggetto, il bambino, che non ha alcuna voce in capitolo. È un argomento che ha un suo peso, ma, per quanto vogliamo tenerlo in considerazione, è soggetto a una critica radicale: nessun bambino al mondo ha mai avuto, né mai avrà, voce in capitolo sulle condizioni della sua nascita. E se volessimo stilare un elenco delle condizioni ideali in cui un bambino deve venire al mondo, allora dovremmo prevedere una sorta di “patentino di genitore” che autorizzi qualcuno a diventare padre o madre. Perché ahimè per affrontare un tale compito la tanto invocata natura serve a ben poco. E allora, se prendiamo davvero sul serio la frase “un bambino ha diritto a un padre e una madre” dovremmo vietare di fare figli alle donne single. Attenzione, qui il filo corre fra morale e diritto, ma la distinzione è netta: un conto è fare, per esempio, campagna di prevenzione e informazione affinché le ragazze non rimangano incinte ogni volta che hanno rapporti, un'altra è vietare per legge alle donne single di avere figli. Sarebbe una follia degna uno Stato totalitario.
Su queste questioni hanno ragione, da sempre, i radicali: a prescindere da come la pensiamo nel merito, proibire non serve a niente, se non a incoraggiare forme di sfruttamento, a rendere certe pratiche privilegio di classe, a creare mercati clandestini. Legalizzare significa sempre regolamentare.
Sono abbastanza certa che qualcuno trarrà da queste righe la conclusione che io sia “a favore” della surrogata, dimostrando così di non aver capito la tesi centrale di questo articolo: ossia che il mio giudizio morale non è il parametro con cui io penso che debbano essere fatte le leggi. Per questo non mi sono espressa nel merito della surrogata. Se a qualcuno interessa il mio personalissimo “mondo morale”, la mia opinione è: non lo so. Ho molti dubbi e molte riserve. Ma non è sul mio mondo morale che pretendo che si facciano le leggi.
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