GRAVITY – Nello spazio tra detriti e fantasmi

Creato il 05 ottobre 2013 da Thefreak @TheFreak_ITA

“E’ nei momenti di solitudine che più spesso i fantasmi vengono a trovarci”: questo deve aver pensato Alfonso Cuarón mentre sceneggiava, insieme al figlio Jonás, “Gravity”, il suo ultimo film. E più che alla gravità in senso fisico, come forza che spinge al suolo i corpi, viene da pensare che il regista si riferisca a quella qualità propria di una situazione dura a sopportarsi, oppure, al limite e metaforicamente, a quella forza interiore di astronauti alla deriva in grado di spingerli nonostante tutto verso la terra.

Una tranquilla missione spaziale si trasforma in un incubo per Ryan Stone, ingegnere biomedico (donna, sebbene con nome maschile) alla prima esperienza nello spazio, e Matt Kowalsky, consumato astronauta dallo spiccato senso dell’umorismo e dalla esorbitante (è il caso di dirlo) logorrea, interpretati rispettivamente da Sandra Bullock e George Clooney. Unici superstiti della loro flotta, colpita da una pioggia di detriti, perduti i contatti con la base, in poche parole improvvisamente soli nello spazio, i due dovranno lottare contro il tempo e la paura per tornare sulla terra vivi.

 

Spettacolare sin dall’inizio, “Gravity” giova di scelte felici nelle inquadrature, lunghissime ed efficaci nel rendere l’atmosfera stellare in cui fluttuano i protagonisti. Le soggettive, abbondanti e ben utilizzate, ci restituiscono un senso di claustrofobia che attraversa tutto il film ben oltre le scene girate all’interno delle minuscole stazioni spaziali, con una potenza formale notevolmente amplificata dal 3-d. Anche la colonna sonora, interamente composta da Steven Prince, rientra con classe nel genere “musica da passeggiata spaziale”.

Fantasmi, dicevamo, popolano i pensieri dei protagonisti sin dall’inizio: cari perduti, recordman da battere (lo spirito competitivo tipicamente americano di Matt Kowalsky/George Clooney non conosce confini), protagonisti di vecchi aneddoti li accompagnano per riempire il vuoto che li circonda e quello che hanno dentro.

Compagni di viaggio, talvolta ingombranti presenze di cui schivare (per dirla con Alessandro Piperno) il fuoco amico, ma anche, nel momento di massima difficoltà, suggeritori preziosi per riemergere dall’abisso quando tutto sembra perduto, i fantasmi di Ryan e Matt ci spingono a fare i conti, anche solo fugacemente, in virtù di quel diabolico meccanismo proiettivo che rende tanto entusiasmante il cinema, con i nostri.

 

Senza darci il tempo di stare a ruminare troppo, però, perché il film incalza alla grande e si arriva alla fine dei 90 intensissimi minuti in un istante. Complimenti a Cuarón quindi, per averci ricordato come un film possa raccontare la complessità umana senza dover rinunciare a essere intrattenimento, e come, ritornando alla luce del sole dopo una buia notte spaziale, gli spettri svaniscano.

di Adriano Vinti

Tag:adriano vinti, cinema, film, gravity, recensione, the freak


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