In Grecia i partiti politici che sostengono il governo Papademos non hanno trovato l'accordo sulle nuove, ennesime misure d'austerità che dovrebbero riportare il debito pubblico ellenico in condizioni accettabili. Non basta infatti la riduzione del 20% degli stipendi pubblici per sbloccare l'erogazione dei 130 miliardi di euro di aiuti internazionali necessari per evitare il default.
La riforma delle pensioni, ovvero un consistente taglio degli assegni da versare ai greci che hanno smesso di lavorare, è stata un ostacolo troppo alto da saltare, per una coalizione governativa che vede gomito a gomito esponenti della destra nazionalista, liberali e socialisti.
Ma più che le posizioni ideologici a frenare i politici è stata più che altro la paura che l'ennesimo sacrificio chiesto ai cittadini potesse innescare una rivolta violenta estesa e difficile da controllare, in un paese ormai ridotto alla disperazione.
Nonostante tutto però, il governo greco chiederà ugualmente l'erogazione del prestito e dalle autorità comunitarie giungono assicurazione che il fallimento della Grecia non è in agenda e i mercati finanziari sembrano crederci, perché gli indici di borsa continuano a salire, anche se con cautela, nonostante i greci non abbiano trovato ancora l'accordo, che era previsto per oggi, e la scadenza sia stata procrastinata di altri 15 giorni.
Naturalmente le due settimane di tempo, non confermate però dalla UE, sono sufficienti per dare il tempo agli abili manovratori per fare altri giochini di prestigio e uscire al momento giusto anche nel caso l'accordo non dovesse ancora essere trovato, cosa che in realtà molti pensano che sarà. Naturalmente i meno avveduti rischieranno di lasciarci le penne.