Il terzo capitolo del viaggio nella Grecìa Salentina organizzato da Agrifeudi è cominciato con me che strisciavo per terra nel tentativo di passare per un foro nella pietra. Ero rimasto incastrato con la spalla. Non l’inizio più insolito per i miei viaggi, ma ci andiamo vicino…
Ci avevano portati a Calimera, il paese in cui si trova il Bosco Sacro in cui il giorno prima avevamo respirato l’alito delle querce simbolo del Salento, i lecci. Scesi dal furgone, abbiamo seguito il canto di una ragazza che si accompagnava con un tamburo fino alla Chiesa di San Vito, un piccolo e umile edificio dall’aria sperduta, abbandonato in mezzo ai campi come se se ne dovesse lavare la memoria. Invece qui si svolge una delle pratiche più affascinanti della Grecìa Salentina.
Ad aspettarci c’erano Ornella Ricchiuto e suo padre Giuseppe dell’associazione Liquilab, un laboratorio di antropologia visuale per il recupero e la valorizzazione della memoria antica e moderna. Il loro lavoro: riempire i vuoti di memoria della società contemporanea con storie di vita, arte tradizionale, riti collettivi e visioni di mondi passati.
Insieme siamo entrati nella Chiesa di San Vito, dal cui pavimento sbuca la Sacra Roccia di San Vito, anche nota come “pietra della fertilità”. Si tratta di un monolite calcareo, con al centro un foro dal diametro di circa mezzo metro. Si dice che il giorno che fu trovata era ancora circondata dal bosco. Tentarono di portarsela via, ma la pietra non si smuoveva dal terreno da cui emerge, così vi costruirono attorno la chiesa e cominciarono a venerarla.
Ogni anno, il giorno di Pasquetta, la comunità di Calimera si ritrova all’interno della Chiesa di San Vito per formare un cerchio tra canti e percussioni. Nell’uliveto circostante li aspetta un banchetto con vino, pane “con i pezzetti” e patate dolci, ma prima devono attraversare il foro nella pietra, una pratica che sancisce la rinascita spirituale degli individui e il loro ingresso in un nuovo mondo.
E poi sono arrivato io, steso sul pavimento con la testa che sbuca da un lato della pietra e il corpo che si dimena sull’altro. Per la cronaca: al secondo tentativo sono “rinato” anch’io.
Per pranzo eravamo attesi nell’agriturismo Masseria Sant’Angelo di Corigliano d’Otranto. Qui il proprietario Rocco Avantaggiato ha riutilizzato le vecchie caseddhe (“casette”) usate per il ricovero temporaneo delle famiglie per adibirle ad alloggio per i suoi ospiti. Gli edifici sono sparsi per una vasta area e dopo il pasto Rocco ci ha guidati alla riscoperta dell’antico legame tra uomo e pietra, in mezzo a dolmen e mehrir, pagliari per gli attrezzi e un palmento utilizzato per la pigiatura dell’uva dall’aria davvero ancestrale. C’è anche un’altra pietra forata, questa volta portatrice di felicità, ma la mia crescita spirituale sembrava ormai paga e mi sono trattenuto dall’esibirmi in altre movenze di contorsionismo.
L’ultima tappa della giornata – e del nostro viaggio alla scoperta della Grecìa Salentina – ci ha portati a Sternatia. Questa è tra tutte le comunità grike quella in cui questa misteriosa lingua neo-greca è maggiormente diffusa. Mentre in altre spesso il griko non è che un vago retaggio tenuto in vita dal folklore e da qualche operazione commerciale legata al turismo, qui gli abitanti lo usano abitualmente ogni giorno.
Al calare del sole sui suoi vicoli silenziosi, ci siamo dispersi per Sternatia e ci siamo lasciati avvolgere dall’atmosfera di questa tranquilla cittadina. Eravamo all’epilogo. Dopo tre intensi capitoli di Grecìa Salentina, scanditi da visioni, esperienze partecipate, sensazioni olfattive e gustative, musiche e danze, eravamo giunti alla fine del nostro percorso alla ricerca delle radici culturali di questo territorio. Un percorso complesso, composto da numerose individualità il cui contributo non sempre si è rivelato armonioso, ma comunque un viaggio appagante e rivelatore. Un modo di intendere l’esperienza del visitatore ben diverso dal solito soggiorno pigro e inerte.
Per vedere le altre foto del nostro viaggio nella Grecìa Salentina visita la pagina Facebook di NonSoloTuristi.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.