Risulta ormai inutile ribadire come la situazione in Grecia si sia fatta ormai critica, e di come la corsa verso il burrone intrapresa dalla nazione ellenica non possa essere fermata.
Il fallimento della Grecia risale a due anni fa, ed in questo arco di tempo si è semplicemente evitato di prendere atto della evidenza.
Ancora ci si domanda come tutto questo sia potuto succedere, e quali siano state le circostanze che hanno condotto fino a questo punto una intera nazione.
Trovare una risposta potrebbe essere utile, non tanto per stanare dei “colpevoli” e consegnarli alla pubblica rabbia, quanto piuttosto per riflettere sul modo in cui un popolo abbia accettato di farsi sedurre ed ingannare da dei falsi miti, e di come siano state le persone stesse a scegliere di salire su di un treno che conduceva dritto al baratro.
Così, in questi giorni le analisi sulla situazione greca si sprecano.
Gli economisti sottolineano come per anni i governi greci abbiano taroccato i conti, di come sia stato azzardato accettare nella grande famiglia dell’euro una nazione che non dava le adeguate garanzie a livello economico, del modo irresponsabile in cui i fondi pubblici siano stati gestiti.
Da un altro punto di vista, si pone l”attenzione sull’operato criminale delle banche che in gran parte ora detengono il debito della nazione, del come il loro agire da “strozzini” abbia messo in ginocchio l’intero apparato economico dello stato.
C’è del vero in tutto questo.
Ma le origini della situazione attuale vanno ricercate indietro nel tempo, e quello che ora accade era del tutto prevedibile.
Ancora tre anni fa, quando la crisi appariva incombente, si tendeva ad osservarla da lontano quasi fosse un uragano che in qualche modo avrebbe evitato di investire il proprio giardino, come fosse un problema che riguardava altri.
I turchi erano accampati fuori dalle mura della città, ma nessuno voleva sporgere il capo, e nelle piazze e nelle agorà la vita continuava come sempre.
Il mare era bello come sempre, e sempre c’era il sole.
Ora l’esercito nemico ha sfondato le mura, ed ovunque regna il panico.
Come se gli invasori fossero spuntati dal nulla.
Una rabbia confusa, che ha come bersaglio quell’idra chiamata troika, ovvero i rappresentanti dell’Unione europea, della BCE e del Fondo Monetario Internazionale, gli organismi che dettano le regole di austerità a cui la popolazione si deve sottoporre, pena il fallimento e la catastrofe.
Tagli agli stipendi, licenziamenti, aumenti indiscriminati di tutti i generi, nuove ed esose tasse.
L’immagine che appare all’estero è quella di un popolo che si ribella a tutte queste gravose imposizioni, ma la realtà profonda è diversa.
Coloro che protestano, coloro che scendono in piazza, rappresentano una minoranza.
Si tratta principalmente di persone che non hanno più nulla da perdere: disoccupati, studenti senza un futuro, genitori che non riescono più a mantenere le proprie famiglie.
Per il resto della popolazione greca, la stragrande maggioranza, il sentimento di rabbia e frustrazione è surclassato da un’altra sensazione: la paura.
E’ la paura che domina l’atmosfera della nazione.
E per quanto le imposizioni della troica siano devastanti, finiranno per essere accettate, perché il terrore di perdere anche quel poco che si ha sovrasta tutto il resto.
E non ci sarà nessuna rivoluzione, nessun moto popolare contro i governanti.
Perché solo chi ha già perso tutto è disposto a rischiare fino in fondo, mentre chi ancora ha qualcosa da perdere accetta ogni imposizione nella speranza di mantenere anche quel poco.
Come si arrivati, quindi, fino a questo punto?
Le cause di tutto questo da sempre apparivano chiare, ma ancora la grande maggioranza delle persone cerca i colpevoli in una unica direzione, dimenticandosi di guardarsi dentro, innanzitutto, e di riflettere sui propri errori, prima che sugli inganni degli altri.
Perché l’inganno ci fu, così come ci furono coloro che vollero essere ingannati, e per decenni in questa illusione si adagiarono.
Furono in pochissimi che si chiesero da dove provenissero tutti quei soldi che all’improvviso fecero di una delle nazioni più povere dell’occidente una sorta di paradiso per la bella vita.
Le macchine comprate a rate, le vacanze pagate a rate, i mutui concessi come caramelle ai bambini.
E tutti a sognare un posto da statale, con tredicesima e quattordicesima, con stipendi superiori persino a quelli della vicina Italia.
Nessuno che si domandasse quanti di quei posti fossero effettivamente necessari, e come poteva una intera nazione impiegare la maggioranza della sua forza lavoro nel settore dei “servizi”, quando da nessuna parte si vedeva alcuno sviluppo del settore produttivo.
Tutti sembravano occupati a gestire una ricchezza che si materializzava dal nulla: prestiti della BCE, sussidi della comunità europea, fondi speciali per lo “sviluppo”.
Soldi dal nulla, e c’era solo da “gestirli”.