Gregory Page ha 59 anni e non concede interviste. Sicuramente il suo nome e quello della sua impresa non vi dicono niente. Eppure nelle sue mani passano la gran parte degli alimenti che riuscite a immaginare.
Cargill è il mangime che ha ingrassato la vacca da latte e la gallina che ha fatto le uova che friggiamo in padella. Cargill è il chicco di caffè e il seme di cacao; la fibra dei biscotti e l’olio di soia. Il dolcificante delle bibite, la carne dell’hamburger, la farina della pasta? Cargil. E il mais dei nachos, il girasole dell’olio, il fosfato dei fertilizzanti…? E l’amido che le industrie del petrolio raffinano per convertirlo in etanolo e mescolarlo alla benzina? Indovinate.
Come si spiega che una compagnia così gigantesca, con conti che superano l’economia del Kuwait, del Perù e di altri 80 paesi, sia passata inosservata? In parte perché è un’impresa familiare. Sì, i numeri stupiscono, ma Cargill non è quotata in borsa e non deve dar conto a nessuno. I soci sono uno sciame di discendenti dei fondatori, i fratelli William e Samuel Cargill, contadini dello Iowa che crearono un impero nel XIX secolo grazie a un silos di cereali collegato alla via ferroviaria in un paesino della prateria che non esisteva sulla cartina.
Più tardi, un cognato – John MacMillan – prese le redini e per decenni, i Cargill e i MacMillan aggiunsero silos di grano, mulini, mine di sale, macelli e una flotta di navi mercantili. Oggi, circa 80 discendenti si suddividono i ricavati e giocano a golf. Di loro si sa poco, salvo che nelle feste gli uomini portano gonne scozzesi per onorare gli antenati. E che sette siedono nel consiglio d’amministrazione e sono nella lista Forbes dei più ricchi del pianeta, con fortune che si aggirano attorno ai 7000 milioni ciascuno. Il presidente della compagnia è Greg Page, un tipo flemmatico a cui piace dire, con lentezza, che Cargill si dedica “alla commercializzazione della fotosintesi”.
Le cause sono molteplici. Un insieme di siccità, cattivi raccolti e speculazioni. A guadagnarci sono in pochi. E tra loro ci sono le mastodontiche imprese che controllano il commercio mondiale dei cereali. Cargill ha triplicato i benefici nell’ultimo semestre e i suoi guadagni superano i 4000 milioni di dollari, record raggiunto nel 2008 nel pieno della crisi alimentare. La compagnia aveva scommesso che la siccità in Russia, uno dei grandi produttori mondiali, avrebbe obbligato Vladimir Putin a proibire le esportazioni per assicurare il consumo interno. Ed indovinò. “Abbiamo fatto un buon lavoro leggendo i mercati e abbiamo reagito rapidamente”, spiegò un portavoce di Cargill. In cosa consiste la reazione? Si tratta, essenzialmente, di giocare al Monopoli, comprando i raccolti nel mercato del futuro, cioè prima che sia piantato un solo seme, e di venderli poi in un posto o l’altro del pianeta, là dove risulti più proficuo.
Traduzione a cura di Mario Sei
Fonte
Ilfattaccio