Il primo:Le relazioni tra le parti del negoziato sono ormai caratterizzate da un basso livello di fiducia, che rende più difficile la trattativa. Non a caso, proprio ieri, il ministro delle finanze Varoufakis si è dimesso, a suo dire, proprio per facilitare il negoziato, ed è stato sostituito daTsakalotos Il secondo, che ho già scritto nel post precedente: "se dovessero vincere i NO (come in effetti hanno vinto, ndr), dal mio punto di vista, sarebbe assai illusorio pensare che la Troika possa prendere atto della volontà del popolo greco (contrario all'austerità) e riformare il sistema di governo che ha adottato fino a questo momento. Perché, altrimenti, ciò significherebbe aprire uno squarcio profondo proprio nella credibilità delle istituzioni europee (ammesso che ne abbiano), confinandole in una posizione di debolezza nei confronti di quelle espressioni di volontà popolare troppo spesso e con troppa facilità etichettate come "populiste". Oggi, secondo questa logica, alla luce di una possibile vittoria dei "NO", le istituzioni europee dovrebbero assumere un atteggiamento più clemente e quindi fare delle concessioni alla Grecia. Ma ciò non esclude il fatto che domani potrebbe essere la volta del Portogallo, della Spagna o dell'Italia. Ecco quindi che si verificherebbe un precedente che, in proiezione futura, potrebbe essere fortemente destabilizzante".
Alla luce di queste considerazioni, appare poco probabile che le autorità europee possano convergere verso una posizione significativamente più accomodante che possa essere accettata dal governo ellenico, forte del risultato (quasi plebiscitario) ottenuto con il referendum di domenica. Anche perché, come detto, in caso contrario, si creerebbe un precedente che, in futuro, potrebbe essere invocato anche da altri paesi.
Quindi, le prospettive per un accordo nel breve termine appaiono significativamente indebolite, anche se il deteriorarsi della situazione economica in Grecia potrebbe spingere il governo ellenico verso una nuova richiesta di aiuti al fondo ESM, per via del fatto che il piano precedente è ormai scaduto lo scorso 30 giugno. Ma in questo caso, ammesso che esista la volontà politica di giungere ad un nuovo accordo di salvataggio, i tempi potrebbero non essere così solleciti, anche per via del fatto che, ad esempio, in alcuni paesi, per l'intervento del fondo ESM, è prevista l'approvazione da parte dei rispettivi parlamenti. Alla luce del risultato del referendum e dello stallo sul fronte dei negoziati, proprio ieri la Bce ha deciso di non aumentare liquidità di emergenza alle banche greche e, al tempo stesso, ha ristretto il livello dei collaterali accettati a garanzia. In buona sostanza si tratta di una decisione del tutto prevedibile e, se dovesse essere confermata anche nei prossimi giorni, è chiaro che la Grecia verrebbe spinta fuori dall'euro per via del fatto che molte banche sono ormai al collasso e, in mancanza di nuova liquidità fornita dalla BCE, il governo non avrebbe altra alternativa che nazionalizzare le banche emettendo nuova moneta. A dire il vero, nello stallo della situazione, esiste un'altra alternativa, chiamiamola "coercitiva". Ed è quella verso la quale, a parer di chi scrive, sta spingendo le autorità europee al fine di esercitare pressioni sul governo ellenico in modo da indurlo ad accettare la proposta dei creditori da una parte, e, dall'altra, lanciare un monito verso quei paesi che dovessero essere "accarezzati" dal desiderio di abbandonare la moneta unica: il salvataggio delle banche a carico dei risparmiatori, i cui depositi verrebbero utilizzati per il salvataggio del sistema bancario ellenico. Ma la distruzione di tanto risparmio è qualcosa di politicamente insostenibile, quindi la BCE, in assenza di un accordo, stringendo il cappio della liquidità intorno alle banche greche, riduce drasticamente la possibilità di azione del governo greco a 3 alternative possibili: 1) accetta un nuovo piano di aiuti e rimane nell'eurozona (per quanto tempo, non si sa) 2) Non accetta il piano di aiuti pur volendo rimanere nell'eurozona: in questo caso il bail-in diventerebbe pressoché scontato. 3) Abbandona l'euro e nazionalizza le banche greche. Nonostante la chiusura delle banche e l'introduzione di misure di controllo dei capitali, le banche greche stanno soffrendo fortissime pressioni sulla liquidità. Quindi se la BCE dovesse continuare a garantire gli attuali livelli di ELA (o, peggio, se dovesse ridurli) la situazione per il sistema bancario greco diventerebbe esplosiva. Giacché sarà ulteriormente limitata la liquidità per l'economia, questo aggraverà la situazione economica della Grecia che è già pesantissima e, come detto, potrebbe spingere il governo ellenico o ad introdurre una moneta parallela o ad abbandonare l'euro. Al tempo stesso, il governo sta esaurendo di denaro in cassa, ha difficoltà a far fronte ai pagamenti nazionali e il prossimo il 20 luglio dovrà rimborsare 3.5 miliardi alla BCE. Come già detto, il mancato rimborso alla Bce avrebbe effetti ben più gravi rispetto a quelli determinati dal mancato pagamento al Fmi dello scorso giugno, poiché, a quel punto, la BCE potrebbe ritirare la liquidità di emergenza concessa alle banche greche. In queste circostanze, il governo greco potrebbe introdurre una moneta parallela: una sorta di pagherò che potrebbe essere scambiato all'interno del perimetro nazionale. Tuttavia, questo non risolverebbe la crisi di liquidità del sistema bancario greco, che comunque andrebbe ricapitalizzato. In queste condizioni, salvo colpi di scena, lo scenario più probabile resta quello dell'uscita dalla Grecia dalla moneta unica e la conseguente nazionalizzazione delle banche, salvo che non venga effettuato un prelievo straordinario sui conti correnti (ipotesi probabile). Ma se Tsipras ha chiamato il referendum per sottoporre all'elettorato greco la questione del piano di aiuti dei creditori, a rigor di logica dovrebbe indire un altro referendum per l'eventuale uscita della Grecia dalla zona euro, i cui esiti potrebbero divergere dal risultato referendario sancito domenica scorsa. Ecco quindi che si aprirebbero degli scenari del tutto inediti e inimmaginabili allo stato attuale, che renderebbero ancor più incerto il quadro, già assai complesso. Con le banche che resteranno chiuse, la situazione economica che precipiterà ancora più in basso e con l'aumentare del disagio e della sofferenza della popolazione, non è da escludere il fatto che le autorità europee vogliano in qualche modo far aumentare il malcontento intorno al governo, in modo da indurlo alle dimissioni e alla sostituzione con un governo, magari di unità nazionale, senza passare per il voto popolare (cosa già avvenuta anche in altri paesi -es. Italia- seppur in contesti diversi). E da qui riaprire i negoziati con un governo più credibile agli occhi dei creditori. Insomma, un casino di proporzioni inimmaginabili.