La trama (con parole mie): Jack Burton è un ruvido camionista che capita a San Francisco dal suo vecchio amico Wang Chi, vincendo da lui una bella somma a seguito di una scommessa.Quando la fidanzata di quest'ultimo viene rapita da un gruppo di piccoli criminali di Chinatown Burton si offre - con la promessa di un ritorno economico - di aiutare Wang, solo per scoprire che il quartiere cinese nasconde segreti che vanno ben oltre l'immaginabile affrontando da par suo mostri, fantasmi, luci verdi ed esseri apparentemente immortali con tutto il piglio del tamarro cento per cento made in USA.Inutile dire che lo scontro tra i due stili provocherà una battaglia pronta "a far tremare i pilastri del cielo", e quando il Bene ed il Male si troveranno faccia a faccia, Jack sarà pronto a dire la sua senza farsi ovviamente attendere.
Non è la prima volta che questo supercult inossidabile ed imperdibile, nonchè film d'avventura di riferimento degli anni ottanta e oltre, fa la sua comparsa qui al Saloon: qualche anno fa, in preda ad un attacco di nostalgia, dedicai infatti a questa perla assoluta ed indiscutibile - vero, Cannibal!? - firmata John Carpenter una sorta di post commemorativo senza però soffermarmi troppo a dire la mia in proposito.
Certo, ogni recensione o tentativo di critica di una pietra miliare di questo calibro risulta ridondante tanto quanto quelle riferite ad un altro dei miei titoli del cuore, Il grande Lebowski, ma l'occasione di mostrarlo ai cugini adolescenti ed ancora piuttosto acerbi in materia cinematografica di Julez è stata davvero troppo ghiotta per non essere colta: dunque eccomi qui, a cercare di trovare un equilibrio tra emozioni e razionalità per raccontare quello che è un autentico colpo di genio, una perla del trash ed un omaggio alla sottocultura del fumetto, delle arti marziali, dell'horror e del fantasy come poche altre se ne sono viste in tutta la Storia della settima arte, in terra ammmeregana e non.
Dalle frasi cult - "E' una questione di riflessi!", impagabile - alle sequenze leggendarie - l'arrivo delle Bufere nel corso del combattimento tra i Chang Sing e gli Wing Kong -, dal buzzurro Jack Burton - uno dei protagonisti più incredibili del Cinema d'azione - alla cultura cinese con demoni, dei, malefici e combattimenti che anticiparono di più di un decennio lo sdoganamento del wuxia, questo divertissement d'autore è un guilty pleasure che non mi stancherò mai di assaporare e condividere, nella speranza, un giorno o l'altro, di ricevere in regalo la meravigliosa canotta che il buon Kurt Russell sfoggia nel corso della sua incursione nei domini di Lo Pan accanto all'inseparabile amico Wang Chi - dunque sappiatelo, voi che avete scelto il giubbotto di Drive o una delle altre opzioni nel test sulla fordianità, che il mio desiderio è quello di possedere questa canotta -.
Ci sto provando, davvero. Ma alla fine non ci riesco.
Non riuscirò mai e poi mai a scrivere una recensione equilibrata e "canonica" di questo film: troppi i passaggi che posso ormai citare a memoria, troppi i ricordi, le risate, i pomeriggi passati con mio fratello a vederlo e rivederlo arrivando perfino a notare i cambi di espressione degli attori, l'influenza che ebbe sul mio immaginario - ricordo che, in un tema alle medie, citai l'imbarazzante chiusura di Jack Burton al brindisi con il filtro magico "e che le ali della libertà non perdano mai le piume" -, la capacità di unire sacro e profano del Cinema come in seguito riuscì soltanto a Quentin Tarantino.
E con il tempo, passare dal preferire Miao Yin - ai tempi le ragazze asiatiche esercitavano un potere arcano sul sottoscritto - alla più "ruggente" Gracie Law interpretata da Kim Catrall - che ora si ricorda, purtroppo, solo per Sex and the city -, dai momenti dedicati ai combattimenti al fulminante campionario di stronzate che Burton riesce ad inserire in ogni sua battuta: quello che non è cambiato, però, è il tocco della meraviglia che fa rizzare i peli alla base del collo, e che il Cinema d'avventura di quei tempi riusciva inesorabilmente a catturare creando mondi e situazioni sulle quali si poteva continuare ad immaginare, costruendone altri a propria volta.
Questo era il potere della settima arte che lasciava spazio all'immaginazione dello spettatore, lo stesso che ora pare una vera e propria rarità.
E poco importa che fosse dozzinale, pacchiano, tamarro o scombinato: era più vero con le sue luci verdi ed esplosioni di tante merdatone curate al dettaglio che siamo costretti a sorbirci in questo troppo spesso scialbo nuovo millennio.
Ma che vi posso dire!?
E' una questione di riflessi.
MrFord
"I could escape this feeling, with my China Girl
I feel a wreck without my, little China Girl
I hear her heart beating, loud as thunder
saw the stars crashing."David Bowie - "China girl" -