Grotta Luk, il gioiello nascosto nel cuore della terra

Creato il 06 marzo 2015 da Andrea Scatolini @SCINTILENA

È ufficiale la notizia: scoperta ed esplorata la sconosciuta – fino ad oggi – grotta nel territorio del Monte Soratte. Si è atteso un po’ per diffondere la notizia, all’inizio non ci si poteva credere ma poi ecco la “aspettata” e “sudata” sorpresa che Madre Terra ha offerto al gruppo di esploratori (provenienti da tre Regioni d’Italia, federati e non) che per settimane ha cercato la via per raggiungerne il fondo.
La prima scoperta, e presupposizione che là, sotto una evidente frattura si trovasse un passaggio, è avvenuta a Dicembre, poi da allora, fino a Febbraio, si è proceduto nelle esplorazioni non semplici prima di tutto a causa delle condizioni climatiche piovose che ne rendevano l’ingresso scomodissimo e poi per via di alcuni massi di crollo all’interno delle anguste fratture da scendere in verticale che sono stati via via messi in sicurezza.
Alle varie fasi esplorative hanno partecipato (in ordine alfabetico): Daniele Agrifogli (Lazio), Calogero Albanese detto Lillo (Lazio/Sicilia), Clarice Acqua (Lazio), Paolo Forconi (Lazio), Mariangela Martellotta (Puglia), Luca Poderini (Umbria), Luigi Russo (Lazio/Campania), Alessandra Tomassini (Lazio), Paolo Turrini (Lazio). Il suddetto gruppo inoltre si sta occupando di documentare ed eseguire il rilievo della grotta in modo poi da accatastarla – come già pre-avvisata la Federazione di competenza e secondo le modalità predisposte dal Catasto Grotte Lazio – a nome di chi l’ha scoperta.

Il nome della Grotta e a chi è stata dedicata
La grotta è stata battezzata dall’esploratore Paolo Forconi, il vero e proprio elemento trainante del gruppo esplorativo, Grotta Luk in memoria di un giovane esploratore messicano Lucas, socio de La Venta, morto tragicamente lo scorso anno. Luk era un amico non solo di Paolo ma di altri speleologi italiani con i quali ha portato avanti attività speleo in Messico e Italia. [A proposito di ciò, vista la sua scomparsa, uno dei soci della Venta, Giovanni Todini, sta portando avanti un’iniziativa benefica per aiutare la moglie e i figli di Luk rimasti da soli in situazioni non facili (n.d.r.)]. Si può affermare che la Grotta Luk ricorda proprio le vicende speleologiche del giovane ragazzo visto che, da quanto racconta chi l’ha conosciuto, era capace di infilarsi in cunicoli talmente stretti che nessuno riusciva a passare se non disostruendoli a dovere, e tuttavia sbucare poi in ambienti nuovi dando un enorme aiuto ai gruppi esplorativi con cui collaborava. Ci si augura quanto prima di terminare le operazioni di documentazione della cavità in modo da presentarla alla comunità di Sant’Oreste e a tutti coloro che hanno conosciuto il giovane Lucas.

Una progressione non facile
Arrivare al cuore della Luk – il fondo – non è semplice, non tanto per la profondità (stimata intorno ai 200 m con una possibile prosecuzione al fondo) quanto per gli angusti passaggi fra fratture fangose in cui si riesce a malapena a muovere gli attrezzi per la progressione. Il peggio è quando si risale e la grotta è in condizioni fangose: croll e la maniglia non scorrono, anzi non reggono per niente ed è una sensazione non piacevole sentirsi scendere mentre si tenta di salire! Per giungere a quello che è un proprio e vero “Mero interrato” (simile come conformazione ai tre Meri del Soratte che attualmente hanno lo sbocco all’esterno del sottosuolo) e che costituisce la parte da percorrere per arrivare al fondo della Luk, bisogna passare scivoli, meandrini e fratturoni scomodi ma tuttavia affascinanti che letti con gli occhi di chi è amante della speleologia ne sviscerano la storia ipogenica. La lettura dell’ipogenico la si ha poi nella “Saletta de La Sosta” da dove ci si affaccia nell’enorme ultimo salto nel vuoto!

Ultimo salto prima di arrivare al P100

I gioielli preservati al fondo della Luk
Il fondo lascia a bocca aperta. Per poterlo percorrere, nelle ultime uscite, si è pensato bene di portare scarponi e guanti di ricambio e qualche straccio per asportare il fango accumulato sulla tuta proprio per non sporcare le infinite concrezioni sulle quali si è costretti a passare molto molto vicini. La Luk offre un paesaggio di speleotemi ogni volta aggiornato da novità. Vele, broccoletti candidi, stalattiti enormi, vaschette in cui l’acqua cristallina rispecchia la bellezza delle cupole ipogeniche frastagliate da cannule trasparenti da cui lo stillicidio è perenne… Il percorso del fondo prevede una sorta di anello con alcuni tratti in disarrampicata con dislivelli tra i 2 e i 5 metri. Al momento le tre sale principali in cui è composto il fondo sono state battezzate dagli esploratori: Sala Maya, Sala Mandra e Sala Moia (l’ultima sala battezzata così solo una settimana fa dopo l’ultima discesa proprio per le caratteristiche di questo ambiente in cui ci si ritrova circondati da laghetti e stillicidi di acqua mista a sali).

Sala Moia. Scorcio di una delle vaschette piene d'acqua

Sala Mandra. Vista delle pareti dai colori e dalle forme a chiazze che richiamano la pelle delle salamandre

Alcune piccole ma interessanti scoperte all’interno
All’interno sono stati individuati e fotografati alcuni reperti ossei di animali che al momento fanno presupporre a dei rettili e alcuni altri piccoli resti non concrezionati di possibili roditori. Al momento i reperti sono stati fotografati, misurati e quanto prima verranno vagliati da esperti paleontologi. Interessantissime sono le forme delle concrezioni ancora in corso di evoluzione: pare che le sale del fondo siano del tutto staccate come morfologia rispetto alle parti superiori della grotta, formate al più da massi di crollo incastrati fra loro e cupole ipogeniche con le caratteristiche venature superficiali.

Il pavimento della grotta in alcuni punti è coperto da infinite concrezioni dette “a broccoletti”

Sala Maya con l’enorme speleotema del bacio fra stalattite e stalagmite

Alcune raccomandazioni
Non capita spesso di trovare una grotta, una di tipo ipogenico poi – che nasce e si sviluppa quasi senza sbocchi percettibili all’esterno – è ancor più complicato. La scoperta, noi come esploratori, la sentiamo nostra non come gelosia verso qualcosa che fa parte del patrimonio naturale di tutti, ma “nostra” nel senso che confidiamo nel buon senso di tutti a tenere cura di quanto c’è nel sottosuolo e che fra qualche tempo non sarà percorsa solo da noi che ne conosciamo le fragilità.
All’interno, a cura del CENS sono stati collocati due sensori per il monitoraggio delle temperature che avranno il compito di monitorare per un anno l’andamento di temperatura all’interno degli ambienti posti alle diverse quote.
Firmato, il gruppo esplorativo extraregionale: Daniele, Lillo, Clarice, Paolo F., Mariangela, Luca, Luigi, Alessandra, Paolo T.

Le trasparenze e i colori di alcune concrezioni lasciano a bocca aperta


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