ISTANBUL, ore 12.30 (ora turca). In diretta dal palazzo di Çırağan, residenza imperiale ottomana in riva al Bosforo trasformata in albergo di extralusso, che oggi ospita un’affollatissima riunione – la quarta della serie, ma Russia e Cina non ci sono – del gruppo di contatto sulla Libia. A presiederla, il ministro degli esteri turco Davutoğlu e il suo omologo degli Emirati arabi uniti; presenti tra gli altri Juppé, la Ashton, Frattini (che ha affetuosamente sbaciucchiato la Ashton), Hillary Clinton. Davutoğlu riproporrà la road map in 3 punti (cessate il fuoco, aiuti umanitari, inizio transizione democratica) lanciata ad aprile da Erdoğan, nella sua dichiarazione introduttiva ha indicato come obiettivo finale la nascita di una Libia unita, libera e democratica, non ha fatto il nome di Gheddafi ma ha comunque definito il Consiglio nazionale transitorio come il rappresentante legittimo del popolo libico, ha sollecitato donazioni per il mese del Ramadan ormai imminente (per il Cnt, per il popolo libico: da distribuire non solo a Bengasi, ma anche a Tripoli). Chissà se arriverà qualche deliberazione significativa: ma non prima del tardo pomeriggio (nel frattempo forse parlerà Frattini).
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