Gruppo di lettura #5 Il commesso

Creato il 17 gennaio 2015 da Nereia @LibrAngoloAcuto

E, con il mio solito ritardo, eccomi a parlare dell'ultimo appuntamento del gruppo di lettura organizzato da Scratchbook e al quale partecipo tutte le volte che posso. Per chi volesse prendere parte ai prossimi appuntamenti, è sufficiente che clicchi qui e chieda l'iscrizione al gruppo.

L'ultima puntata del gruppo di lettura, di cui faccio un resonconto con molto ritardo, è stata incentrata sulle vergogne. Non abbiamo letto tutti lo stesso libro, cosa che accade di frequente e che, forse, disorienta un po'. Ognuno ha letto il libro che reputava una vergogna non aver ancora letto.

C'è da dire che io ho una lista così lunga di vergogne che è stato davvero difficile sceglierne solo una. Ma tant'è... Il commesso di Bernard Malamud si è aggiudicato il podio. I motivi sono diversi, non tutti da considerarsi intelligenti: Malamud è americano e io adoro la letteratura americana, la copertina è stupenda, non ha tante pagine e quindi potevo leggerlo in breve tempo, lo possedevo in ebook, ne ho sentito parlare un gran bene, è considerato il capolavoro di Malamud.

Un consiglio: non leggete la prefazione di questo libro, o meglio. Leggetela alla fine, è piena di spoiler.

Terminato da qualche giorno, riesco a parlarne solo adesso - con decisamente molto ritardo.

Il commesso è uno di quei libri che ci si dice di dover leggere.

"Lo leggerò, prima o poi. Magari appena finisco questo. O magari dopo quest'altro. Lo leggo sicuramente entro la fine dell'anno."

Più o meno è andata così, l'ho rimandato per diverso tempo senza trovare mai il coraggio di iniziarne la lettura. Avevo paura di Malamud, come ho paura ogni volta che mi approccio alla lettura di un Autore, con la a maiuscola. Mi è successo con Malamud, come mi è successo con Yates e come mi succederà un milione di altre volte.

È stato bello - come lo sarà sempre - chiudere il libro e rendersi conto che quella paura, la paura di non essere all'altezza, era inutile oltre che infondata.

La storia di Morris Bober, della sua triste e in un certo senso travagliata vita, mi ha letteralmente conquistata. Morris possiede un negozio di alimentari che, tra la crisi economica e il sorgere di negozi migliori nelle vicinanze, non se la passa poi così bene. È proprio grazie alla sua attività che la vita di Morris si intreccerà con la vita Frank Alpine, un goy (termine ebraico per indicare persone non appartenenti alla religione ebraica) di origini italiane che si offrirà dio aiutare Morris a mandare avanti il negozio. Il commesso non racconta solo la storia di una bottega di alimentari che cerca, in tutti i modi, di sopravvivere alla crisi e alla concorrenza. Racconta anche e soprattutto della condizione umana di una famiglia sfortunata e in balia degli eventi e delle umili e tristi persone che la circondano.

Quando ho iniziato la lettura di questo romanzo non mi aspettavo che fosse triste. O meglio, triste sì ma non così triste. E mi viene da pensare, ma forse mi sbaglio, che della vita di queste persone Malamud se ne sia servito per raccontarci, in verità, le sfaccettature e le complessità dell'animo umano, per mostrarci la sottile linea che separa la fortuna dalla sfortuna, l'amore dall'ossessione, la tristezza dalla felicità. E il lento scorrere delle sue parole fa sì che la tristezza della quale è intriso il romanzo ti entri dentro, ti perfori così in profondità da raggiungere perfino le ossa. Come l'umidità. L'umidità è bastarda, c'è ma non si vede, la senti veramente solo quando ti trapassa e ti lascia spossato e con le ossa e i muscoli doloranti. E la tristezza di Malamud è bastarda tanto quanto può esserlo l'umidità della spiaggia la sera. Quando ti sdrai, incantato a guardare le stelle cadenti e, due ore dopo, hai dolori in tutto il corpo. "E però - ti dici - chi se ne frega", conscio dello spettacolo meraviglioso al quale hai assistito.

"Lo trovava spesso in biblioteca. Quasi ogni volta che vi si recava, Helen lo vedeva seduto a uno dei tavoli davanti a un libro aperto e si chiedeva se tutto quel che faceva durante il tempo libero fosse di venir lì a leggere. Lo rispettava per questo. Lei si recava in biblioteca in media due volte alla settimana, prendendo solo un libro o due per volta, perché ritornare per un altro libero era una delle sue poche gioie. Anche quando era più sola le piaceva trovarsi in mezzo ai libri, sebbene qualche volta fosse deprimente vedere il numero dei libri che non aveva letto. [...] Ma una biblioteca era una biblioteca, e lui ci veniva, come lei, per soddisfare certe esigenze".