Charlotte è una donna bellissima, acclamata nel mondo della moda, con i contatti giusti e le credenziali per accedere alla “camera degli specchi” e vivere una vita brillante di successi: «Sono stata scoperta!, continuavo a pensare. Qualcuno mi aveva riconosciuta, mi aveva scelta fra tutti. Non vedevo nulla di strano nel fatto che essere scoperta, invece che scoprire qualcosa io, si dovesse dimostrare l’evento decisivo della mia vita. Essere scoperta mi faceva lo stesso effetto di una scoperta mia».
Dopo un incidente che le sfigura il volto pensa di aver perso tutto: i suoi conoscenti non la riconoscono più, le offerte di lavoro scarseggiano e la vita ha il sapore di una sconfitta. Charlotte tocca il fondo dell’angoscia, beve, cerca piaceri episodici con uomini di cui ricorda a malapena il nome, consuma i resti della sua persona come se fossero l’ultimo pasto di un condannato a morte che non aspetta altro che la sua fine.
Un’altra Charlotte, la figlia di un’amica ormai lontana, è una ragazza un po’ impacciata e goffa, ma sensibile e delicata di sentimenti; è piena d’un amore esclusivo e assoluto che cerca sfogo e lo trova fra le braccia di un uomo molto più grande di lei che finisce per innamorarsene a suo modo. La tiene con sé come un oggetto prezioso e segreto prima di lasciarsela alle spalle come quasi tutto nella sua vita.
Moose, zio della seconda Charlotte e amico della prima negli anni della scuola, è come abbacinato da una grande scoperta, quello che lui chiama “la verità”, a cui solo degli illuminati avrebbero accesso grazie al contatto con lui, che a una verità disarmata e scomposta è pervenuto dopo anni di studio sulla storia del suo paese, Rockford, nei dintorni di Chicago.
Dappertutto i segni che qualcosa è cambiato nella vita di ognuno: Moose era un ragazzo pieno di vita, supercorteggiato, un vincente; ora è depresso e stona, come un ostacolo, un disturbo, con tutto quello che gli sta intorno. La piccola Charlotte che era solo una bambina, alle prese con il dramma di non essere accettata a scuola, la preoccupazione per il fratellino malato, il pessimismo cosmico dell’adolescenza, va incontro a un’illusione feroce che la viola mentre la nutre: «La sua anima era troppo piccola. Quasi tutti ce l’avevano ampia e morbida, gonfia di sensazioni ed esigenze che avrebbero reso la vita intollerabile per Michael West: sarebbe stato come cercare di funzionare con la pancia tagliata in due, tenendosi le budella con le mani. La sua anima, viceversa, era compatta e dura, bianca come un diamante. La gente ci vedeva dentro quello che le pareva. Era questo il suo dono: aveva la fortuna di possedere un’anima che prometteva tutto ciò che la gente voleva, e non concedeva nulla». La vita di Charlotte, la prima Charlotte, diventerà poco meno di un film, un reality, l’effetto di un disastro in cui la gente può specchiare le proprie frustrazioni, la propria invidia, e accanire il desiderio di assistere al decadere di un mito in una forma di umanità sofferente sotto il peso del crollo: «“Come ti sembro?”, chiesi. “In che senso?” “Guardami”, dissi, e lui lo fece. “Se dovessi descrivermi, che cosa diresti?” Mi diede una lunga occhiata. In corridoio c’era una luce calda che abbelliva tutto. Mi sorpresi a trattenere il respiro “Che sembri stanca”, disse lui, e le due metà della sua persona si fusero in un istante di umanità. Non era ciò che avevo sperato, eppure provai sollievo».
Su questa folla di personaggi l’evoluzione e la crescita sono stati un vento forte che ha spazzato via i desideri come fossero i sogni di un altro, come se la fragile struttura di esistenze incompiute non potessero sostenerne la portata. Su tutti grava il peso di un prima interrotto dal caso o da un trauma e un dopo che non ha sapore se non quello insipido del tirare avanti senza riconoscere più nei propri atti e sulla propria pelle i segni di un passato che possa consolare. Ma il termine ultimo di questo declino non è l’angoscia dei resti: fino alla fine il romanzo mette in gioco i suoi personaggi, li fa inseguire e cercarsi a vicenda, come se una sponda fosse proprio nel cercare, come se in un groviglio di disillusioni potessero districarsi pezzetti di significato e ricongiungersi a formare una vita visibile, anche se fratturata.
La lingua della Egan è come sempre ironica e brillante, e allo stesso tempo introspettiva fino alla trasparenza; c’è spazio per la crisi e la rinuncia, ma anche per l’analisi senza facili soluzioni. Un microcosmo linguistico e sentimentale compiuto nella sua sostanziale imperfezione.
Nota sull’autrice
Jennifer Egan nasce a Chicago nel 1962. Si trasferisce a San Francisco. Frequenta la University of Pennsylvania e successivamente il St John’s College a Cambridge. Di frequente collabora con il «New York Times Magazine». È autrice di una raccolta di racconti: Emerald City, e dei romanzi The Keep, The Invisible Circus, Il tempo è un bastardo (A Visit from the Goon Squad) con cui nel 2011 ha vinto il Premio Pulitzer per la Letteratura e il National Book Critics Circle Award. Oggi vive a Brooklyn con il marito e i figli.
Per approfondire
Leggi la recensione su Panorama
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Qui le nostre recensioni di Il tempo è un bastardo, Premio Pulitzer 2011.
Jennifer Egan, Guardami
traduzione di Matteo Colombo e Martina Testa
minimum fax, 2012
560 pp., 18 euro / e-book euro 11,99