Guardare alla vita con compassione

Da Marcofre

Ma le profezie sono cifrate per proteggere se stesse dal fallimento.

Gabriel Garcia Marquez

Quando frequentavo con molta infamia e nessuna lode il liceo classico, l’insegnante di lettere (purtroppo non ne ricordo il nome), ci fece leggere un paio di autori. Avevo quindici anni, ero stato bocciato l’anno prima. Gli autori che scoprii allora erano George Orwell e proprio Gabriel Garcia Marquez. Di quest’ultimo leggemmo “Cronaca di una morte annunciata” e soprattutto “Cent’anni di solitudine”.

Ora lo scrittore colombiano è morto. A un certo punto mi sono staccato da lui. Gli ho sempre riconosciuto un talento mostruoso, quel talento che ti permette di rendere l’elenco telefonico qualcosa di sorprendente. Ma la tecnica sublime a mio parere, non riusciva più a sopperire alla mancanza di storie magnifiche. “L’amore ai tempi del colera” era ottimo se non si aveva mai letto niente di lui prima. “Notizia di un sequestro” è stato l’ultimo libro che ho letto di lui. La mano era sempre buona, ma il motore girava a vuoto. Che cosa abbia prodotto dopo, lo ignoro.

La vena si inaridisce. Capita ai musicisti, e pure a chi scrive.
A chi resta, tocca fare i conti con una sorte che giustamente favorisce pochi, regalando loro talenti straordinari. Lui è riuscito a proteggere il suo, a scrivere romanzi quando in Europa si discettava sulla morte del romanzo. Che con l’altra morte annunciata almeno una volta all’anno, quella del rock, riempie di chiacchiere le serate di tanti esperti.

Ora che è morto, rimane a noi un esempio di forza narrativa straordinaria, un uomo che come Tolstoj, era già leggenda prima di trapassare. Finché esisteranno uomini e donne capaci di scrivere in questa maniera, ci sarà una buona ragione per guardare alla vita con compassione. Se vi sembra poco, non avete mai capito niente di quello che leggete…


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