E’ il 1981 e una coppia di «illegali», così sono chiamate le spie sovietiche addestrate a infiltrarsi negli Stati Uniti, vive a Washington da quindici anni. Due figli, una di tredici e uno di dieci, e un’agenzia di viaggi completano la copertura, dando vita all’archetipo della famiglia americana felice, quello che presentano quotidianamente al loro vicino di casa, un agente del controspionaggio.
Ideata da Joe Weisberg, ex agente della CIA sotto copertura, la serie trae lo spunto sia dall’ archivio Mitrokhin sia dalla sconvolgente Ghost Stories Operation del 2010, quando si scoprì che dieci spie russe erano riuscite a vivere nascoste negli Stati Uniti per oltre una decade. Weisberg ritenne che retrodatare l’evento all’epoca della Guerra Fredda fosse fonte di maggiore tensione.
Sarebbe un errore, però, considerare il tema principe lo spionaggio. Come ha ammesso lo stesso Weisberg «abbiamo sempre concepito The Americans come uno show sul matrimonio, più che sullo spionaggio. Ed è questa una tendenza che cavalcano da tempo le serie TV statunitensi: presentare le sfaccettature dei matrimoni più inusuali, si pensi solo alla poligamia mormone delle quattro stagioni di The Big Love, che ci ha coinvolto nei drammi delle «sorelle mogli», o al rapporto contorto della coppia presidenziale in House of Cards.
L’essere il frutto di un matrimonio combinato dal KGB. Addestrati entrambi in modo severo in territorio sovietico, Elizabeth sposa a ventidue anni un perfetto sconosciuto e tutt’e due promettono al KGB di non parlare mai più in russo, né di condividere il proprio passato con il coniuge. Come Elizabeth dice a Philip durante un momento di crisi: «Non siamo mai stati sposati. Avevamo un accordo e ha funzionato.»
I due più che essere sposati, fingono di esserlo eppure, dopo quindici anni, lei vuole che il matrimonio funzioni davvero, quasi a voler nobilitare, con la realtà di un amore autentico, una fetta di quella vita condotta sul filo della menzogna costante. Ed è toccante la scena in cui si confidano per la prima volta i loro veri nomi russi, Mischa e Nadedzhda.
La cosa curiosa, in questo stare sempre al limite tra “verità” e “finzione” è che i due sono una coppia anche nella vita.
Elizabeth è un personaggi
Il punto più irrealistico della serie è, a mio avviso, la perfetta gestione del tempo che concilia notti di pedinamenti e sparatorie, con l’attività fiorente di agenti di viaggio e i pasti dei figli sempre pronti. Insomma, si uccide la sera prima e al mattino il tostapane erutta puntuale il pane croccante per i bambini che vanno a scuola. Anche dal trailer della 1a stagione si ha il sentore di un multitasking di non facile gestione.
Ed è proprio sui figli che si giocherà tutto: questi ragazzi sono il frutto di un matrimonio combinato, messi inizialmente al mondo per rendere più credibile la copertura. In fondo l’atto che li ha generati, non differisce molto dai tanti rapporti sessuali che i Jennings hanno con estranei per estorcere loro informazioni. Le prestazioni sessuali «di lavoro» sono considerate normali dalla coppia e costituiscono una parte integrante del lavoro di spia. Ma tutto è finzione tranne i loro figli che sono del tutto ignari di essere i pargoli di spie russe e conducono una vita da giovani americani. Ed è indubbio, i Jennings amano la loro prole.
La terza serie (guarda il trailer), acclamata dalla critica, affronterà questo nodo cruciale, perché, intanto, i bambini sono cresciuti. S’insospettiscono, fanno domande e, forse quasi per motivi genetici, spiano i genitori.
E l’agente e vicino di casa Stan Beeman, nella sua brutale efficienza, mostrerà di essere non solo un pessimo marito ma anche un sordido amante. Un traditore. Dico così perché, sia chiaro, questa è una serie nella quale è inevitabile schierarsi con i sovietici, un dato che crea meno turbativa in Europa, ma che risulta particolarmente inquietante per il pubblico statunitense. Che però, Stephen King in testa, continua a guardarla appassionatamente.
La 3a stagione di The Americans è in onda ogni venerdi su Sky Fox