Sempre più spesso mi chiedo com’è possibile che i politici che ci governano abbiano l’insolenza di trattarci in questo modo. Ormai è chiaro anche al più cieco elettore unionista di che pasta sono fatti. Non c’è progetto che non venga rifatto, promessa che non venga elusa, soldi che non siano sprecati, ambiente che non sia violato… eppure. Eppure la gente rimane perlopiù muta, direi complice. Su questa complicità si fonda la loro arrogante sicurezza. Si sentono al riparo grazie ai loro ricatti che devono essere pesanti. Ma soprattutto grazie a un’idea, sbagliata, circa il nostro presunto benessere. Ci siamo sempre illusi di essere dei privilegiati, bastavano i buoni della benzina, dello zucchero, dell’alcol, del caffé per farci sentire figli di un dio maggiore. I buoni non esistono più, ma quella sensazione permane. Tutto il resto del mondo sta peggio. Per questo gli sprechi enormi di danaro non hanno mai scandalizzato nessuno o perlomeno una consistente parte dei valdostani. Abbiamo sempre ragionato da pezzenti contentandoci di un benessere volgare e senza futuro. Potevamo essere una perla di buon governo quello che, secondo la Marcegaglia, può giustificare le autonomie; avere scuole di vera eccellenza sia nella formazione sia nelle strutture, una città di servizi all’avanguardia, un turismo elitario e sostenibile, trasporti gratuiti ed efficienti, una sanità funzionale e accessibile, ma ci siamo contentati delle briciole. Briciole che abbiamo interpretato come prosperità. La realtà forse si farà conoscere più tardi. Quando indosseremo la maschera per andare all’ospedale-cantiere; quando seppelliremo i nostri cari, morti prematuramente di un tumore; quando i nostri figli cercheranno lavoro in Europa o bivaccheranno con una birra in mano in attesa della nostra pensione. Non è la realtà delle cose che conta, ma la percezione che si ha di essa e la nostra è rimasta ferma a vent’anni fa.
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