Guardiamo in faccia la realtà!

Creato il 04 settembre 2012 da Filelleni

L’ultima accusa è dell’onnipresente censore Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano di sabato scorso: “Quanti sono i musei chiusi, in Italia? Ci sono quelli chiusi perché sono nati male (il Madre di Napoli, creatura del clientelismo bassoliniano), quelli ostaggio della cattiva amministrazione (clamoroso il caso del Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, che ha sfrattato i suoi inquilini più celebri: i Bronzi di Riace)” etc etc. “Cattiva amministrazione”, “caso clamoroso”, Bronzi di Riace “sfrattati”: non se ne può più di queste frecce lanciate ad arte, frutto di pregiudizio e ignoranza. Certo, il museo di Reggio doveva riaprire l’anno scorso ed è ancora chiuso perché i finanziamenti aggiuntivi per la ristrutturazione si sono fatti attendere. Senza soldi nulla si fa, ma quello del museo di Reggio è un problema nazionale, oltre che locale, e la proverbiale inerzia calabrese c’entra ma fino a un certo punto. Tant’è vero che nel frattempo i Bronzi sono esposti in mostra a palazzo Campanella e li visitano in molti, circa 130.000 persone l’anno: non è vero che “non li vede quasi nessuno” come ha scritto tempo fa Maria Pia Guermandi sul Venerdì di Repubblica, e come lei moltissimi altri. E comunque la soprintendente Simonetta Bonomi, supportata da un attivissimo comitato civico, sta facendo i salti mortali per portarli nuovamente al museo anche prima della conclusione dei lavori. Tra qualche mese li rivedremo nella loro sala e non alla Royal Academy of Arts di Londra che li aveva richiesti per la mostra “Bronze” (anzi ne aveva chiesto uno solo, per limitare i costi). Non li vedremo neppure in mostra a Firenze (e concediamo al sottosegretario Roberto Cecchi il beneficio della boutade agostana). Grazie al no secco di Bonomi i Bronzi rimangono in Italia e a Reggio, mentre i vicini siciliani stanno facendo prendere il volo al loro Satiro danzante, sempre alla volta di Londra per la medesima mostra dove mandano anche l’Ariete di bronzo del Museo Salinas. E l’Auriga di Mozia è ora al British Museum in buona compagnia nella sala dei Marmi Elgin, poi volerà negli States e non si sa ancora bene quando lo si rivedrà. Queste sono le vere follie da denunciare, molto più dei ritardi reggini.

Bisogna denunciare i moltissimi casi di cattiva gestione dei beni culturali nel nostro paese, che in questi tempi di crisi stanno mostrando tutte le loro pecche. L’articolo di Montanari riassume la storia del Santa Maria della Scala di Siena, museo nato per un’idea forte mai attuata, e ora inevitabilmente a rischio chiusura. Ma oltre al diffuso utilizzo allegro dei beni culturali come vetrina politica e senza un progetto lungimirante, di cui il Santa Maria della Scala è un esempio, ci sono anche progetti culturali di indubbio valore ma gestiti forse con troppa disinvoltura o in modi non più adatti ai tempi. Così, per esempio, l’Isiao è commissariato e non si contano i musei e le biblioteche sfrattati, chiusi o a rischio chiusura. Oltre a levar giustamente gli scudi per difendere queste benemerite istituzioni, vogliamo almeno chiederci se potrebbero essere amministrate diversamente? Non si tratta solo di avere i conti in ordine o meno, bensì di realizzare che non siamo più nell’Ottocento ma nel Duemila. Che oggi le Fondazioni, per dirne una, non sono uno spauracchio ma potrebbero anzi diventare uno strumento agile e duttile di gestione, se concepite in modo sano e non clientelare. Tutto ciò vale ovviamente anche per il Museo di Reggio: a lavori finiti sarà il museo più bello del mondo, e ci auguriamo che venga gestito come tale.

Effe



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