Guest post: I tifosi abbandonano gli stadi: indagine Demos–Coop

Creato il 06 ottobre 2013 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

Un’indagine, i cui risultati sono stati pubblicati su “La Repubblica”, pag. 19 e seguenti, del 22 settembre scorso, di Demos & PI con Coop., basata su un sondaggio condotto da Demetra dal 10 al 12 settembre 2012, mostra un notevole fenomeno di abbandono degli stadi da parte dei tifosi.

Soltanto il 23,6 % di essi, infatti, segue, sempre o qualche volta, la propria squadra allo stadio, mentre il 76,4 %, mai o raramente. Per converso, il 64 % la segue, sempre o qualche volta, sulle tv in chiaro e il 53,5 % la segue, sempre o qualche volta, sulle tv a pagamento.

Peraltro, i tifosi di calcio, complessivamente intesi, sono valutati come il 36 % della popolazione, mentre nel 2009 erano il 56 % e di quel 36 % il 47,3 % è rappresentato da tifosi militanti (nel 2011 erano il 43 %).

Se ne deduce che, a un calo impressionante di tifosi e di quelli di questi che vanno allo stadio, corrisponde un incremento di tifosi, così detti “militanti”, che vanno allo stadio.

Non appare, dunque, certamente esagerato il titolo “Calcio, il declino del tifoso, in casa solo gli Ultras” dell’articolo, a firma di Ilvo Diamanti, pubblicato su “La Repubblica”, che riporta i risultati dell’indagine.

Questi ultimi confermano i dati e le valutazioni contenute nel Capitolo 6 “I bacini di utenza”, pagg. 66-81, del libro “L’impresa sportiva come impresa di servizi: il supporter-consumatore”, Tempesta Editore 2012, di cui sono coautore insieme con l’amico, Alfredo Parisi.

Nelle pagine richiamate il bacino di utenza dei tifosi, mutuandone la definizione datane nel Capitolo 5 “La gestione di una società sportiva professionistica”, in “Strategia per il business dello sport”, di Paolo Bedin, edito da Sbs, Libreria dello Sport, 2011, viene così descritto:

Universo dei tifosi di cui può disporre (la società sportiva ndr). Si tratta di un vero e proprio asset per il club sportivo perché influisce su tutti gli altri aspetti fondamentali della gestione. Basti pensare al lato sportivo quanto il pubblico possa incidere attraverso la propria presenza allo stadio o al palasport, ma anche il grado di pressione e di condizionamento che lo stesso è in grado di esercitare sulle scelte del club, sull’opinione pubblica e sui media, soprattutto locali.

Si consideri, inoltre, che, nella stagione sportiva 2009-2010 rispetto a quella 2004-2005, si era già registrato un calo di presenze allo stadio del 14,35 %, un calo di incassi lordi totali del 16,84 % e un calo di abbonati del 14,61 %.

Come si può oggi constatare, non solo il fenomeno progressivo di abbandono degli stadi non si è arrestato, ma, anzi, si è ancora incrementato.

Nell’articolo di Diamanti le cause di tale fenomeno vengono così indicate:

  • la scarsa credibilità del calcio e dei campionati (Calciopoli, Scommessopoli, ecc.);
  • la percezione degli stadi come luoghi a rischio;
  • le difficoltà per accedere allo stadio;
  • lo scarso appeal delle squadre italiane e del campionato italiano;
  • il declino economico generale del Paese;
  • la partecipazione alle partite attraverso, in misura dominante, i media (tv in chiaro, a pagamento e anche internet).

Quanto alla fatiscenza o scomodità degli stadi, pure spesso invocate come causa di scarsa partecipazione diretta alle partite, è opportuno ribadire, come più volte reiteratamente affermato da Federsupporter, che la realizzazione di nuovi impianti o la ristrutturazione di quelli esistenti prescinde dall’esistenza di una legge ad hoc, come dimostra il caso Juventus.

Inoltre, sempre e come più volte reiteratamente affermato da Federsupporter, si tenga presente che la suddetta legge è bloccata da anni in Parlamento esclusivamente o principalmente a motivo del fatto che, su iniziativa di alcuni proprietari e Presidenti di club, si vorrebbe che essa fosse piegata a consentire enormi speculazioni edilizie in barba e in spregio di vincoli ambientali.

La ricerca in oggetto prende anche in considerazione il fenomeno della antipatia nei confronti di alcune squadre, a proposito dell’incremento del cosìddetto “tifo contro”.

Ma, in tema di antipatia, dovrebbe essere presa in considerazione anche quella suscitata, sotto il profilo dell’analisi delle cause del progressivo abbandono degli stadi, da esponenti di club nei confronti dei propri stessi tifosi.

Al riguardo, rimando alle mie note “La ricetta per i tifosi: digestivo o anestetico ?” del 12 settembre scorso e relativo allegato, consultabili sul sito www.federsupporter.it.

Illuminanti, sempre al riguardo e sempre a mio avviso, le parole di cui al Capitolo “Perché siamo antipatici”, pagg. 139 e 140, dell’omonimo libro di Luca Ricolfi, sociologo docente di analisi dei dati presso l’Università di Torino, Longanesi & C. Editore, 2005, secondo cui: “Pensate una scuola, ai ragazzi di una classe, e provate ad immaginare chi potrà risultare più antipatico ai compagni di scuola. La risposta è facile: il ragazzo che se la tira, che si dà delle arie. Non importa su che basi, quel che conta è la sua tendenza a far sentire gli altri inferiori, al di sotto del suo livello (omissis) E non importa che ci sia intenzionalità, oppure non ci si renda conto del proprio comportamento: per l’antipatia basta l’attitudine a far sentire gli altri non all’altezza, o non degni della nostra considerazione”.

Così si prosegue a pag. 140: “Tu non puoi capire (schemi secondari), tu non devi parlare come vuoi (politicamente corretto) io sì che la so lunga (linguaggio codificato), noi parliamo alla parte migliore del paese (supponenza morale). Un messaggio che è innanzitutto di autosufficienza, di superba chiusura agli altri, a quelli che non la pensano come noi”.

E’ così difficile ricondurre i descritti comportamenti a qualche proprietario o Presidente di club ? E la profonda antipatia che tali comportamenti suscitano è irrilevante ai fini della mancata partecipazione alle partite da parte anche dei propri stessi tifosi ?

Non c’entrano nulla con il senso di appartenenza e con la passione per la propria squadra comportamenti, quali: atti o dichiarazioni assolutamente evitabili con un minimo di buon senso; negazione delle facoltà umane empatiche e simpatiche tipiche della convivenza e combinazioni nefaste di incompetenza tecnica e disprezzo relazionale; affermazioni presuntuose di sapere e pretese arroganti in diverse forme (combinazione di ignoranza e saccenza); il suscitare emozioni regressive di rabbia e conflittualità; difesa a spada tratta delle proprie idee mostrando un’alta autostima; testardaggine e pervicacia in tutti i precedenti comportamenti ?

Manifestazioni possibili del descritto modo di agire possono essere: insulti personali, minacce, intimidazioni, sarcasmo, umiliazioni, degradazioni pubbliche, a volte palesi, altre volte subdoli e manipolatori.

Se il tifo è, dunque, principalmente appartenenza e passione, non può, a mio parere, dubitarsi che sia privo di effetti negativi il fatto che colui il quale rappresenta, non solo giuridicamente ma anche emotivamente, una società e una squadra possa comportarsi nella maniera sopra descritta.


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