Guest post - Le fasi della rivoluzione

Creato il 22 gennaio 2013 da Narratore @Narratore74

Come vi avevo anticipato prende il via oggi la serie di guest post dedicati al mondo del bloggin e dell'editoria.
Il primo a dare il via all'iniziativa è Angelo Benuzzi. Ovviamente vi consiglio di dare un'occhiata al suo blog, troverete numerosi argomenti interessanti e di attualità. Angelo ha acconsentito a mettere sul piatto la sua esperienza di blogger e scrittore, regalandoci una lunga disamina sull'editoria, su quello che era e come è mutata nel corso del tempo. Intanto vi auguro buona lettura e ci rivediamo laggiù in fondo per i saluti.

Negli ultimi venticinque anni il mondo dell’editoria, a livello mondiale, ha dovuto confrontarsi con il diffondersi dei mezzi digitali affrontando il primo vero ciclo di trasformazione della sua storia. Quanto segue è una serie di riflessioni sull’argomento, l’idea è di fornire spunti di riflessione a chi si interessa di questo settore.
La prima fase della trasformazione digitale ha avuto luogo all’interno dell’industria; i processi di gestione, di stampa, di archiviazione, di comunicazione e di grafica. Cambiamenti che hanno avuto costi rilevanti e che hanno costretto molte aziende a ristrutturazioni pesanti oltre che a fare investimenti di un certo rilievo. in questa fase però il core business, i libri, non hanno subito sostanziali variazioni. La catena produzione, stampa, magazzino, distribuzione, grossisti, librerie è rimasta al modello del primo ‘900.
La seconda fase è arrivata da fuori, nel senso che l’industria si è trovata a fare i conti con fenomeni che già conosceva ma che con l’avvento delle nuove tecnologie si sono fatti più evidenti. Mi riferisco alle auto produzioni e ai canali di vendita alternativi, sempre in questa fase sono arrivati i primi testi commerciali di massa editi in solo formato elettronico. Gran parte dell’industria si è fatta trovare impreparata, così come non ha capito che anche la frontiera dei diritti d’autore si era spostata in un territorio nuovo.
La terza fase è contemporanea alla seconda, con la nascita di operatori specializzati nel contesto informatico. Qui cambiano le regole del gioco. Zero stampa, zero magazzino, zero distribuzione fisica, vendita diretta e indiretta tramite la Rete. Questo settore dell’industria nasce al di fuori delle filiere tradizionali e da subito si configura come una realtà sgradita alla maggior parte degli operatori (la gran parte delle sterili polemiche carta/digitale nasce qui).
La quarta fase è l’adeguamento. I principali player del mercato capiscono che non è possibile ignorare il cambiamento e cominciano a diversificare la loro offerta affiancando alla produzione cartacea quella digitale. Il tutto con molta lentezza e un buon numero di controversie sui diritti d’autore come già accennato. Molte proposte nascono logicamente vecchie, soprattutto sul formato degli ebook (sostanziali riproposizioni del cartaceo, a volte scannerizzato alla meno peggio) e sulla politica dei prezzi (ricalcata su quelli del cartaceo).
La quinta, tuttora in corso, è quella degli operatori di natura mista. L’esempio di scuola è Amazon che ha promosso un’intera filiera industriale e di servizi sul concetto di ebook, affacciandosi in contemporanea sul mercato hardware (lettori ed accessori), software (DRM, formato proprietario dei file, firme digitali) ed editoriale (ha una sua casa editrice). Non è mancato infine lo sbarco su carta, sempre tramite una propria filiera di stampa/spedizione. Com’è logico attendersi anche altri operatori hanno fatto lo stesso, da soli o in sinergia con altre realtà industriali, a partire dal peso massimo Apple. Proprio quest’ultima fase ha finito per intaccare pesantemente il business delle case editrici tradizionali, generando risposte differenti e poco coerenti tra loro. Si è partiti dal lato media, facendo valere una pressione a favore del libro tradizionale e fomentando polemiche sulla possibile scomparsa del cartaceo (a mio parere del tutto inutili e strumentali). Il passaggio successivo è stato quello di spostare risorse a favore della produzione in digitale, compresa la commercializzazione in proprio o in gruppo. In parallelo alcune case editrici hanno avviato altri processi di riorganizzazione e outsourcing per cercare di mantenere i proprio margini operativi. Per le case editrici il confronto con gli store online come il già citato Amazon o Itunes oppure con le attività di Google nel settore è partito malissimo; hanno cercato lo scontro, cercando nel contempo di fare lobbismo sia negli USA che presso l’UE per ottenere provvedimenti in grado di tutelare anche in campo digitale i diritti da loro acquisiti nel campo tradizionale. Scontro in realtà minato alle fondamenta dal fatto che esistono legislazioni diverse da paese a paese e per le contezioni dirette che molti autori hanno mosso alle aziende per la pretesa di estendere i contratti al “nuovo territorio” senza nel contempo compensarli in maniera adeguata. L’impressione che ne ho potuto ricavare in generale è di panico, di non avere un’idea adeguata di cosa significhi fare editoria nel 2013. Di contro, dopo una serie di difficoltà iniziali, le aziende più grandi del web stanno strutturandosi per dedicare personale specializzato al comparto editoriale facendo leva sulla più potente delle motivazioni: i soldi. In genere i contratti con un editore tradizionale, parliamo degli autori di punta, funzionano sulla base di un anticipo e di una percentuale sui guadagni (royalties). La percentuale in questione è piuttosto bassa e i guadagni in questione finiscono per essere in gran parte assorbiti dall’editore (de facto molto del profitto se ne va per sostenere i vari livelli dell’organizzazione). Le aziende che puntano sul digitale hanno molto meno personale, meno costi di gestione, assenza di magazzino, logistica ipersemplificata. Possono quindi comunque realizzare profitti interessanti offrendo agli scrittori una percentuale sul venduto molto più alta. In più tendono a concentrare gli sforzi di marketing sulla Rete, con costi minori e strumenti molto più flessibili rispetto ai media tradizionali. Altri vantaggi? Catalogo sempre disponibile, nessuna tiratura minima, possibilità infinita di rivedere/correggere i testi, multimedialità, gestione flessibile dei prezzi. E’ altrettanto vero che sussiste il fenomeno della pirateria e che la presenza dei DRM o di altri strumenti come il Watermark è facilmente scavalcabile. Quello che sta avvenendo però è un fenomeno già riscontrato in precedenza con la musica. Nel momento in cui i prezzi sono scesi il livello di pirateria è calato sensibilmente (con la parziale eccezione dei paesi più arretrati come l’Italia). Al di fuori dei nostri confini la maggior parte degli ebook ha prezzi contenuti, il che ne favorisce grandemente la diffusione. Questo è un altro dato che dovrebbe interessarci a fondo dato lo scarso numero di lettori di cui ci si lamenta sempre.
Infine c’è quello che per ora è l’ultima frontiera, la sesta fase dell’era digitale: le factory. Ovvero gruppi di creativi (scrittori, musicisti, illustratori) e di gestori (editor e gestori di portali) che creano e distribuiscono contenuti al di fuori del circuito delle case editrici (tradizionali e non) dividendosi tra loro i guadagni in base al contributo dato al progetto. E’ un’evoluzione del circuito delle autoproduzioni e non solo. Queste factory non hanno una pianta organica stabile ma, sul modello di quello che spesso avviene nel mondo della musica, variano in funzione dei progetti e si connettono tra loro in maniera imprevedibile secondo la logica dei social network. Strettamente collegato a questo sviluppo c’è l’adesione all’utilizzo di strumenti sviluppati secondo la logica Open Source e verso modelli di copyright condivisi come le Creative Commons.
Quinta e sesta fase stabiliscono una sorta di digital divide; entrambe presuppongono un largo numero di utenti fortemente connessi alla Rete e un commercio elettronico altrettanto sviluppato. Cose che nel nostro paese non sono esattamente patrimonio di tutti e che, de facto, stabiliscono un discrimine tra utenti/clienti sulla base della presenza o meno di infrastrutture tecnologiche adeguate. In questo quadro nel nostro paese le major dell’editoria tradizionale camperanno un po’ più a lungo dei loro colleghi stranieri ma finiranno comunque per ridimensionare notevolmente il loro peso economico e lobbistico, mettendo quindi fine a un circuito spesso poco virtuoso che ha finito per danneggiare il mercato italiano. Tutto questo non vuol dire che i volumi in cartaceo spariranno, tutt’altro. Le produzioni di pregio (es. i volumi d’arte) non sono certo sostituibili e con i mezzi di produzione attuali le tirature di piccola o piccolissima dimensione rimarranno possibili per qualsiasi tipi di testo. Per parallelo possiamo di nuovo rimandare al mondo della musica dove il vinile non è certo sparito, così come le produzioni su CD/DVD si sono affiancate agli MP3-4. L’anello debole di tutto il mercato rimarranno invece i librai, specialmente quelli indipendenti, a meno che non siano in grado di rendersi specifici o comunque in grado di rimanere in contatto costante con la clientela via social network e simili. Si può teorizzare una settima fase? Secondo me l’ultima frontiera è la traduzione. Se si riuscirà in qualche modo a perfezionare il settore software legato a questa problematica o se nel concetto di factory si riuscirà ad incorporare anche questo servizio allora davvero ogni testo avrà la possibilità di diventare globale come diffusione, il che sposterebbe il mercato in maniera imprevedibile. Per ora è fantascienza. Per ora.   ------------------------------------------------------------------------------------------- PS: chiunque volesse cimentarsi in un guest post è libero di contattarmi privatamente alla mia mail (la trovate nei contatti) o tramite social network (Facebook o Twitter).

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