I video vincitori di “YouTube play” saranno proiettati fino a domani al Guggenheim di New York, su youtube.com/play e in chioschi intorno ai musei del network, Bilbao, Venezia e Berlino. Per la prima volta, un prestigioso museo pesca a piene mani in un bacino di non professionisti. Di giovani di tutto il mondo che non hanno dovuto presentare un lavoro ad hoc, ma semplicemente partecipare con il video che, negli ultimi due anni, avevano girato e caricato su youtube. È l’arte che prescinde dall’artista, almeno con quello con l’etichetta. L’arte che prima stupisce il pubblico e solo dopo si sottopone al giudizio degli esperti. L’arte che non ha più bisogno di finire nella collezione di un museo o nel catalogo di una mostra perché ha già a disposizione la vetrina più grande del mondo, Youtube, il sito più visitato dopo Google e Facebook. Gli autori delle 25 opere sono 39, di 14 Paesi, e 9 di loro vengono dagli Stati Uniti. L’unico italiano è stato eliminato nell’ultima selezione.
Nel video, il promo con gli spezzoni dei 25 video:
«Internet è ormai uno strumento per creare arte» ci spiega Hanne Mugaas, curatrice insieme a Nancy Spector di YouTube Play «e soprattutto è molto presente nella nuova generazione di artisti. Per loro è un vantaggio, perché possono condividere ogni creazione con il mondo intero, ma anche per noi curatori, perché è così che ora si scoprono i nuovi talenti». Gli artisti scoperti da questa prima Biennale, «a cui» spiegano dal Guggenheim «ne seguiranno altre», aprono una finestra su un mondo nuovo. Quello dei creativi non professionisti che si muovono in rete. Un mondo che cura molto la tecnica, meno la sostanza. La recensione del critico del New York Times, che ha assistito alla serata-evento di giovedì al Guggenheim - quando i 25 video sono stati proiettati sulla facciata e all’interno dello storico edificio di Frank Lloyd Wright sulla 5a strada - parla di «delusione» e di risultati «poco brillanti su idee generiche e striminzite».
I clip fondono generi diversi e spaziano dallo stile graphic novel a quello da videogioco. Tecnologicamente non mostrano sbavature: l’obiettivo è stupire, chi con la velocità della ripresa - Keith Loutit in “Bathtub IV” trasforma oggetti reali in giochi in miniatura - chi con montaggi al contrario, come Joaquín Cociña in “Luis”. I contenuti, invece, si rincorrono da un candidato all’altro: domina il terrore per una realtà che si scopre diversa da com’è - nei tg deformati di “Auspice” di Bryce Kretschmann - e la denuncia della violenza della guerra, come in “I Met the Walrus” di Josh Raskin, dedicato a John Lennon. L’atmosfera ondeggia quasi sempre fra lo psichedelico-onirico e il grottesco, con tranquilli padri di famiglia che infilano cavi elettrici in uova o bistecche. Mescola la fantasia del mondo di Alice a musica rap Lindsay Scoggins, che con il suo “Wonderland Mafia” conta su Youtube già un milione e mezzo di clic. È davvero arte? Mai come in questo caso, sarà il pubblico a poterlo decidere.
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