Fabio Chiusi, giornalista e blogger, si è occupato più volte della vicenda WikiLeaks, tanto da scriverne un libro “Nessun segreto. Guida minima a WikiLeaks, l’organizzazione che ha cambiato per sempre il rapporto tra internet, informazione e potere.” Oltre ad occuparsi di web, politica e giornalismo sul suo blog – ilNichilista – Fabio ha aperto da poco un osservatorio sulla resistenza digitale su Tumblr dal titolo “Digital Dissidence”.
Con lui parliamo – ovviamente – di WikiLeaks, SOPA e dell’uso del web nelle lotte più recenti.
Ti sei occupato alquanto da vicino della vicenda WikiLeaks, un fenomeno che pare non esser stato compreso pienamente nel nostro paese. C’è chi lo mette vicino all’universo delle rivoluzioni mediatiche – con la sua portata devastante nell’ informazione del cittadino- e chi lo ripone dalla parte delle rivoluzioni politiche –considerate le conseguenze del contenuto dei dispacci. Ma queste posizioni sembrano non cogliere per intero la portata rivoluzionaria di Assange & Co. Qual è secondo te la vera portata innovativa e rivoluzionaria di WikiLeaks?
Secondo me la portata rivoluzionaria sta, dal punto di vista giornalistico, nella dimostrazione che oggi la professione deve essere in grado di maneggiare moli sterminate di dati senza perdere in professionalità nel loro trattamento. Ma anche nella presa di coscienza che lo strumento, Internet, fornisce un ulteriore metodo di ottenimento del materiale e gestione delle fonti. Il maggior merito di WikiLeaks trovo sia aver dimostrato che questo metodo, pur se non nuovo, funziona. Anche se, e questo è un altro merito, non senza ritorsioni (queste sì in modalità inedite) da parte del potere.
Il caso di Bradley Manning mostra forse il lato più duro per colpire Wikileaks : carcere per chi collabora. Ma abbiamo assistito fino ad oggi anche ad un corposo blocco dei finanziamenti. Manning fa parte di una caso a sé stante di “ingiustizia” oppure rientra in un piano più esteso di delegittimazione di WikiLeaks?
Secondo Assange rientra in un piano più esteso, che mira a ottenerne l’estradizione negli Stati Uniti e una conseguente incriminazione per spionaggio. Per mesi abbiamo sentito ripetere, quasi acriticamente, si trattasse di una sua ossessione (l’ennesima, secondo alcuni). Invece dal pre-processo a Manning è emerso che il tentativo di collegare la condanna al giovane a quella di Assange è concreto, e che se le autorità statunitensi non lo hanno ancora fatto formalmente, alla luce del sole, è solo perché non hanno compreso come condannare WikiLeaks ma non il New York Times. La situazione non è delle migliori. Soprattutto, appare perfino peggiore di quella verificatasi per i Pentagon Papers, negli anni 70. Segno che la tutela della libertà di espressione non è granché progredita in questi ultimi 40 anni.
L’identificazione di WikiLeaks con Assange rappresenta un problema per l’organizzazione internazionale? Abbiamo visto che la “macchina del fango” si è subito gettata contro la sua vita personale- con le accuse di stupro ed il processo in corso. In Italia, tale l’identificazione tra Assange ed il sito, siamo giunti addirittura a paragonare il bluff mediatico Spider Truman all’opera di Assange.
In Italia c’è stata molta imprecisione sul significato profondo dell’opera di Assange, per non parlare delle tante, troppe omissioni sull’operato di WikiLeaks quando non ha più permesso di scrivere pagine e pagine su Berlusconi. E sì, certe riduzioni giornalistiche sono francamente risibili. Quanto al giudizio sull’uomo, che tuttavia non ha nulla a che vedere con il suo operato professionale, attenderei a parlare di ‘macchina del fango’. Le accuse sono effettivamente molto deboli, ma sarei cauto nello screditare l’intero operato della giustizia internazionale.
Fabio, hai un blog – ilNichilista- ed ora hai aperto un osservatorio su Tumblr – Digital Dissidence. Nella lotta al sistema – nella rivoluzione – quanto sta diventando importante l’uso di Internet? Nell’immaginario comune, Twitter ormai si è associato fortemente alle Primavere Arabe, per il futuro chissà quale lotta verrà legata a quale sito. Lo abbiamo detto noi nel primo numero, lo hai sostenuto tu già più volte: il web è uno strumento e come tale va considerato. Ma non sta emergendo un “carattere unico” del web, in particolare nella lotta politica e dei diritti civili?
Non capisco bene cosa tu intenda per «carattere unico del web», ma devo dire che il mio giudizio sul ruolo di Internet nelle rivoluzioni è ancora in via di formazione. Dopotutto, solo l’occhio attento degli storici ci potrà dire quanto effettivamente abbiano contato Twitter o Facebook e quanto fattori strutturali interni ai Paesi dove sono avvenute le rivolte, e di geopolitica. Mi sembra che a un iniziale consenso sulla versione che vede privilegiato il ruolo del social media si sia passati, grazie anche all’indispensabile analisi di Evgeny Morozov in The Net Delusion, a una riflessione più critica, maggiormente incentrata su fattori che con Internet non hanno nulla a che vedere. Questo senza negare in alcun modo l’utilità di strumenti come Twitter e Facebook per l’organizzazione e il racconto in tempo reale delle proteste.
Non si fa in tempo a sfuggire ad una legge liberticida che subito ne esce fuori un’altra. La SOPA (Stop Online Piracy Act) rischia di essere il disegno di legge più oscurantista che il web in occidente abbia mai visto. Alla base di questa legge c’è un problema ancora non pienamente risolto nella rete: la tutela del diritto d’autore. Leggi di questo tipo difendono i proprietari dei contenuti o sono solo atti di servilismo nei confronti di chi detiene grandi interessi economici in materia?
Sono atti di servilismo e ignoranza, per come la vedo io. Se solo i governi si rendessero conto che non basta riempirsi la bocca di belle parole per tutelare i dissidenti, e che il maggior controllo della rete non solo non protegge il diritto d’autore, ma finisce per favorire la sorveglianza digitale sulle voci critiche ai regimi di tutto il mondo, allora sì che avrebbero fatto un reale servizio ai cittadini. Ma al momento la tendenza è opposta: più controllo, a qualunque costo.
Concludiamo con una scommessa: in Italia prima è esploso Facebook, ora si sta affacciando sempre più Twitter. Quale sarà la prossima ossessione dei media italiani? Noi facciamo la nostra puntata su Tumblr, secondo te invece quale sarà il prossimo sito sulla bocca di ogni giornalista e perché?
Anche a me piace Tumblr, ma non credo sia abbastanza ‘cool’ per finire in pasto a media affamati di celebrità, aneddoti e polemiche sterili per dire che «il popolo del web insorge» a ogni piè sospinto. Rilancio con un’altra scommessa: il prossimo fenomeno mediatico sarà il successore di Facebook. Forse non siamo così lontani dal trovarcelo sotto il naso.