Autore: Anne Tyler (Traduttore:L. Pignatti)
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Edito da: Guanda (Collana: Narratori della fenice)
Prezzo: 15,00 €
Genere: Narrativa, Classici
Pagine: 214 p.
Voto:
Trama: Aaron, giovane vedovo ancora sconvolto dalla perdita della moglie Dorothy, comincia a riceverne le visite. Per strada, al mercato, al lavoro, Dorothy lo affianca silenziosa nei mesi del lutto. Per Aaron, balbuziente, leggermente zoppicante, soffocato per tutta la vita dalle attenzioni di donne troppo premurose – dalla madre apprensiva alla sorella invadente, alle fidanzate votate più ad assisterlo che ad amarlo – l’incontro con Dorothy era stato una liberazione. Finalmente una donna diretta, pratica, quasi asociale ma per nulla sentimentale e soprattutto refrattaria a ogni pietismo, una donna che lo trattava come un uomo e non come un bambino da accudire. Insieme si erano costruiti un rifugio, vivendo in una simbiosi assoluta che portava ciascuno a coltivare le proprie idiosincrasie e ad amplificare quelle dell’altro. Ma ora che lei non c’è più, tranne che nelle sue brevi apparizioni, Aaron è costretto ad avventurarsi di nuovo in un mondo dove i vicini di casa lo foraggiano ogni giorno con abbondanti provviste di cibo; la sorella insiste per ospitarlo; i colleghi fanno di tutto per rendergli la vita più facile e qualcuno già cerca di combinargli un incontro con una giovane vedova altrettanto sola e bisognosa d’affetto. Con tono leggero e divertito, e la consueta capacità di tratteggiare i personaggi, Anne Tyler descrive il percorso tortuoso che dallo smarrimento della perdita conduce alla scoperta di nuove, infinite possibilità, sfociando in un inno alla vita e alla sua stupefacente varietà.
Recensione
di Debora
A volte penso di essere meno fortunato di altre persone, ma molto, molto più felice.
Ma direi che questo dev’essere più che altro autoconvincimento, perché forse tutti pensano di avere qualche motivo speciale per essere felici.
Questo è uno di quei libri che io definisco NI; storie che mi sono piaciute ma che non mi hanno lasciato dentro emozioni tali da essere ricordate a lungo.
Anche i personaggi non mi hanno attratta particolarmente; ovviamente il lettore è più trascinato dal protagonista principale Aaron, che è anche il narratore della storia. Mi ha dato l’idea di un uomo scarno, passivo, che trova la sua completezza solo in una relazione con una donna. Il libro tratta del suo dolore dopo la morte della moglie e delle varie tappe che percorre per superarlo.
Esiste il tempo del dolore, ma mai a mio parere, in questo libro, troppo viscerale, c’è poi il tempo dei ripensamenti ed infine il momento dell’accettazione e del conseguente ritorno alla vita.
In Guida rapida agli addii si parla d’amore, della vita di due persone che si amano normalmente, senza stravaganze, senza colpi di testa eccessivi. Credo che essere una coppia vuol dire anche accettare compromessi, arrivare a mediazioni, amare pregi ma soprattutto difetti dell’altro. Perché amare la perfezione dell’altro è troppo comodo. Amare i difetti invece, vuol dire avere di fronte a volte degli ostacoli, dei muri che si possono superare ma che rimangono lì per tutta la vita. Li possiamo scavalcare con un salto, con una scala, ma ugualmente i muri rimangono. Aaron e Dorothy nelle loro imperfezioni hanno trovato il loro equilibrio.
Il libro parla anche dei sentimenti di solidarietà delle persone vicine ad Aaron; si trova invaso letteralmente dagli aiuti di persone note e meno note che gli dimostrano, soprattutto con gustosi manicaretti, tutto il loro affetto. Ma questa forse è solo una facciata perché altrettanto in fretta le persone possono sparire e in realtà l’unico aiuto può venire solo da te stesso e dalla tua fede.
Piccola nota sulla sorella di Aaron, un po’ troppo invadente anche se è un’intromissione giustificata dalla preoccupazione.
L’ambientazione, e anche i personaggi stessi, sono molto statici; i fatti si svolgono per lo più in luoghi chiusi come in casa o in ufficio. L’evolversi della vicenda molto spesso viene raccontata tramite i dialoghi tra i personaggi: in particolare conosceremo il passato della storia d’amore tra i due personaggi principali grazie ai pensieri liberi e alle riflessioni di Aaron, ma non solo grazie a questo. L’autrice trova un particolare espediente, quello di far “tornare” Dorothy, dopo la sua morte, con delle brevi e rare apparizioni davanti al marito. In questi momenti i due si danno anche delle colpe, che però sono solo parole buttate al vento. Ormai per rimediare è tardi. Si possono solo accettare gli errori e da questi imparare qualcosa di nuovo.
L’autrice narra la sofferenza umana ma con uno stile leggero anche se a me, a tratti, è parso troppo freddo e distaccato.
Forse sono troppo abituata alle storie strappalacrime, che sviscerano di più l’animo umano fino a farmi piangere, cosa che in questo caso non è successa.