Guido Carocci, Montelupo

Da Paolorossi

Un modesto gruppo di case, che, secondo gli storici, si diceva in antico Malborghetto, esisteva nel luogo dove i Fiorentini, per tener testa ai Pistojesi ed ai Conti di Capraja loro alleati, eressero nel 1204 un forte e ben munito castello che custodisse il passo dell’Arno e l’accesso nella valle della Pesa. Colla costruzione di questo castello, piantato sulla vetta di uno scosceso poggetto, proprio dinanzi al vecchio fortilizio di Capraja, nacque anche il dettato fiorentino:

Per distrugger questa capra non ci vuole che un lupo.

MONTELUPO – ARNO PRIMA DI MONTELUPO – Foto tratta dal libro “Il Valdarno da Firenze al mare”, 1906

Montelupo non ha grande importanza nella storia della nostra regione, perchè domati gli orgogliosi Conti di Capraja e caduta la loro residenza in possesso dei Fiorentini, si ridusse ad un modesto luogo d’osservazione affidato alle cure di un castellano e di pochi soldati che dovevano soprattutto guardare il ponte che attraversava il fiume Pesa.

Però più che per le vicende storiche, Montelupo acquistò importanza per la copia di fabbriche e di fornaci dalle quali uscivano terraglie e maioliche formate col limo dell’Arno.

Erano in generale oggetti d’uso comune, caratteristici per forma, ma rozzi di fattura; però vi fu un lungo periodo di anni nel quale il gusto ed il sentimento artistico influirono anche su questa industria paesana, la quale diffuse dovunque piatti con figure dipinte, grossolane immagini sacre e specialmente una quantità di piccoli vasi da vino e da acqua chiamati boccali, divenuti così comuni, che per denotare cose universalmente note si soleva dire che erano scritte anche sui boccali di Montelupo.

La storia della ceramica di Montelupo meriterebbe una diffusa illustrazione che nel caso nostro sarebbe superflua ed inopportuna: basterà rilevare che allo sviluppo artistico di questa produzione locale influirono specialmente gli artefici che, chiamati qui da Faenza fino dal XV secolo, seppero imprimerle il gusto e la leggiadrìa proprî di quell’arte fiorentissima nella loro città. Montelupo ha saputo serbare fino a’ nostri tempi una certa supremazia in tal sorta di lavori, e se negli ultimi tempi il sentimento artistico cedette completamente il posto ai generi d’uso comune, oggi quel sentimento torna ad allietare i prodotti delle sue vecchie fornaci.

Edifizi d’importanza speciale non esistono in questo pittoresco luogo. Il Palazzo Pretorio, oggi del Comune, non serba che gli stemmi di alcuni Podestà che vi risiedettero, il vecchio castello e la chiesa che vi stava dentro non son più che un ammasso di rovine, e nulla d’interessante si riscontra nemmeno nella casa dove la tradizione afferma avesse i natali Baccio da Montelupo, valente scultore della prima metà del XVI secolo.

MONTELUPO – Foto tratta dal libro “Il Valdarno da Firenze al mare”, 1906

La Pieve di S. Giovanni Evangelista, riedificata nel XVIII secolo, non ha altro d’importante che alcune opere d’arte che vi furono trasportate dalla cappella della rocca e dalla vetusta Pieve di S. Ippolito, che sorge a qualche distanza dal castello. Di queste opere le più importanti sono due antiche tavole: una che rappresenta l’incoronazione della Vergine in mezzo ad angeli e a cherubini, opera della prima metà del XV secolo; l’altra nella quale sono raffigurati la Vergine ed il bambino fra i Santi Lorenzo, Giovanni Battista, Agostino e Rocco, dipinto pregevolissimo per composizione, per disegno e per colorito, che può ritenersi uscito dalle mani di Sandro Botticelli.

La vecchia Pieve di S. Ippolito, posta a breve distanza da Montelupo, a destra della Pesa, è un edifizio dell’XI secolo, colle mura a filaretto di pietra e le finestrelle a feritoja. Nell’interno, in gran parte trasformato, non rimane che un grandioso ciborio di marmo colla raffigurazione dell’Annunciazione e una grande dovizia di leggiadri adornamenti che ricordano la maniera di Mino.

Sant’Ippolito è posta lungo la via che guida in Val di Pesa, una vallata fertile ed ubertosa, sparsa di castelli e di località importantissime per ricordi storici, ricca di palagi campestri e di chiese che accolgono larga dovizia di opere d’arte. Ma Val di Pesa per queste ragioni ha dato argomento ad interessanti studi illustrativi, nè consentirebbe il cenno fugace che potremmo qui dedicarle. Ad ogni modo, trattandosi di località non troppo lontana dalla valle dell’Arno, non sappiamo resistere al desiderio di additare uno dei luoghi, che nei rispetti dell’arte, come in quelli della storia, offre una speciale attrattiva; vogliamo dire il castello di Monte Gufoni, la forte residenza degli Acciajuoli, dimora di Messer Niccolò Gran Siniscalco del Regno di Napoli, quando deliberò la costruzione della celebre Certosa del Galluzzo, la villa mirabilmente splendida e suntuosa di quella potente famiglia, ridotta oggi ad un modesto asilo di numerose famiglie. Lo abbiamo fatto anche per offrire ai nostri lettori la riproduzione di una bella stampa dello Zocchi, dalla quale si può avere un’idea della grandiosità e delle bellezze della villa e del superbo parco che un giorno l’allietava.

( Guido Carocci, Il Valdarno da Firenze al mare, 1906 )


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