Guido Carocci, San Miniato

Da Paolorossi

All’estremità occidentale del piano empolese, sopra il vertice ondulato di un poggio che a guisa di sprone si protende verso la valle dell’Arno, distende la lunga linea dei suoi edifizi la città di San Miniato, alternativamente chiamata al Tedesco e al Fiorentino, capoluogo di un vasto circondario della provincia di Firenze. La lunga e irregolare distesa delle sue case biancheggianti, interrotta di tanto in tanto dalla massa grandiosa di chiese e di palagi, coronata di torri e di campanili, segue le sinuosità del monte ed a chi la guarda da lontano dà l’idea che San Miniato sia una ampia e popolosa città. Invece, San Miniato, se possiede una storia e tradizioni gloriose da fare invidia a centri molto più importanti, non può considerarsi che come un lunghissimo borgo che di tanto in tanto si allarga per costituire delle piazze e che si dirama in piccole e brevi strade minori.

S. MINIATO — DALLA CHIESA DI S. PIETRO ALLE FONTI – Foto tratta dal libro “Il Valdarno da Firenze al mare”, 1906

San Miniato non ha che 3500 abitanti o giù di lì, ma, in compenso, offre l’aspetto e l’importanza di una piccola capitale, di un centro di movimento e di affari tutt’altro che insignificante, essendo sede di numerosi uffici pubblici. Ma queste sue qualità, diremo così, officiali, sono di gran lunga superate dalle attrattive che San Miniato offre per la sua meravigliosa situazione, per la vaghezza dei giardini che l’allietano, per la ricchezza infinita di edifizi e di opere d’arte che la rendono una delle più simpatiche e delle più leggiadre fra le città secondarie della Toscana.

[…]

Il castello di S. Miniato ebbe in origine modesta estensione e le sue solide mura racchiudevano appena il cocuzzolo del poggio sul quale sorgeva la rocca imperiale. Di questa rocca, che fu gettata al suolo ed abbandonata, altro non resta oggi che l’alta e smantellata torre, che, simbolo di una potenza e di una grandezza tramontate, domina una gran parte del Valdarno e le vicine valli dell’Elsa e dell’Evola. Su quel prato deserto e silenzioso dove crescono e prosperano i fiori, a formare uno strano contrasto collo squallore di quel cupo rudere, fu la residenza degli orgogliosi Imperatori tedeschi, fu la dimora dei loro Vicarî e fra quelle mura, oggi rase al suolo, si svolsero truci e misteriosi drammi. Di uno, specialmente, è giunto fino a noi il ricordo, tramandato dagli storici: la fine infelicissima di Pier della Vigna, il celebre ministro di Federigo II, che caduto in disgrazia del suo signore, fu qui tratto in catene nel marzo del 1249 e barbaramente acciecato, sicchè in un impeto di disperazione si uccise fracassandosi il cranio contro le pareti del carcere.

Accanto alla torre eccelsa, dall’alto della quale lo sguardo può errar liberamente attraverso a mezza Toscana, sono stati incisi a ricordo del caso pietoso i versi di Dante:

«Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cuor di Federigo e che le volsi,
serrando e disserrando, sì soavi
che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi».
 

S. MINIATO — CATTEDRALE – Foto tratta dal libro “Il Valdarno da Firenze al mare”, 1906

Poco al disotto della rovina della Rocca, è la Cattedrale dedicata a S. Maria e a S. Genesio per rievocare il ricordo della chiesa di Vico Wallauri e quasi ad espiazione dell’ingratitudine che i Sanminiatesi addimostrarono per quel borgo ospitale. La facciata della chiesa, a cortina di mattoni, serba le tracce delle trasformazioni e degli ampliamenti succedutisi dal XII al XVII secolo. […] Il campanile di mattoni era una delle salde e gagliarde torri del vecchio castello, del quale facevano parte i palazzi vicini, oggi del Vescovado e della Sottoprefettura.

Più importante della Cattedrale è la chiesa di S. Francesco che maestosa s’inalza dalle balze del monte, sostenuta da sproni e da arcate di proporzioni gigantesche. Cominciata a costruire nel 1343 sul luogo di un antico oratorio, la chiesa di S. Francesco restò compiuta nel 1480 e della costruzione sua originaria serba tuttora in gran parte i caratteri. Non così sono giunti fino a noi i molti oggetti d’arte e le decorazioni che, a similitudine di tutte le altre chiese francescane, dovevano adornarla. Unico resto delle sue dovizie artistiche sono de’ frammenti di un bellissimo affresco gaddiano (che decorava un giorno la sala del Capitolo), oggi quasi nascosti in uno stambugio al disotto del campanile.

Ma quello fra gli edifizi religiosi di San Miniato che presenta grande importanza artistica, non tanto per i pregi architettonici, quanto per la ricchezza infinita delle opere d’arte che vi sono raccolte, è la chiesa dei Domenicani intitolata ai Ss. Jacopo e Lucia. Pur essa, alla pari di quella di S. Francesco, sorge dalla balza del monte, sostenuta da immensi piloni. In origine era a tre navate, oggi è ad una sola ed ampia nave con cinque cappelle di carattere ogivale. Essa fu cominciata a costruire nel 1330 dai frati Domenicani di Firenze e le più illustri e potenti famiglie di San Miniato la corredarono di cappelle, ricche di pregevolissimi affreschi che nei tempi della decadenza artistica scomparvero sotto il bianco. […]

Grandiosi palazzi di buona architettura sorgono sulle piazze e lungo le strade pittoresche di questa quieta e caratteristica città.

Il Palazzo Comunale, fondato nel XIV secolo per uso di residenza de’ magistrati cittadini, non ha esternamente interesse di sorta; ma nell’interno conserva intatto il salone o l’Udienza del Consiglio, salone che pochi anni addietro venne convenientemente ristaurato. In una delle sue pareti è un affresco della maniera dei Gaddi dipinto nel 1393 a tempo di un vicario di casa Guicciardini e rappresenta la Vergine in trono, circondata dalle Virtù Teologali. Tutte le altre pareti e le vôlte sono adorne di stemmi e d’imprese dei Vicarî della Repubblica Fiorentina.

S. MINIATO — SALA DEL CONSIGLIO NEL PALAZZO COMUNALE – Foto tratta dal libro “Il Valdarno da Firenze al mare”, 1906

Al pianterreno, sotto la sala del Consiglio, è l’Oratorio della Madonna di Loreto detto del Loretino, che serviva alle cerimonie religiose pubbliche e private della magistratura cittadina. La cappella è di forma graziosa e ricca di adornamenti che un recente incendio espose ai più gravi rischi. Le pareti sono adorne di affreschi assai deteriorati della prima metà del XV secolo e l’altare di legname è di squisitissimo e delicato lavoro del XVI secolo. Framezzo alle leggiadre decorazioni intagliate e dorate è un gradino con piccole storie che sanno della maniera di Ridolfo del Ghirlandajo o del Sogliani. Il bel cancello di ferro battuto che chiude la cappella porta il nome dell’artefice, Lello di Siena.

Dei palazzi privati, il più vasto e il più artisticamente pregevole è quello Grifoni, oggi Catanti, di severa architettura toscana del XVI secolo. Giuliano di Baccio d’Agnolo ne fece il disegno per Messer Ugolino Grifoni monsignore d’Altopascio e il Vasari dice che «fu cosa magnifica». Pur troppo il lungo abbandono ha ridotto oggi la facciata in condizioni deplorevoli. Artisticamente importanti sono anche il palazzo Formichini, già Morali, del XVI secolo, quello Salvadori, già Franchini, Del Campana, già Roffia, e quelli che furono un giorno dei Borromei e dei Buonaparte, celebri famiglie sanminiatesi, posti sulla piazza del Tribunale.

Subito fuori della città, dal lato di ponente, è il R. Conservatorio di S. Chiara, dove fu un monastero eretto nel secolo XIV dalla famiglia Portigiani. Sull’altar maggiore della chiesa è una bella tavola dell’Empoli rappresentante la Concezione. Di eleganti forme ogivali è l’attigua sagrestia, un giorno chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, fondata nel 1352 dai Bonincontri; sull’altare è una delle migliori tavole di Lodovico Cardi da Cigoli raffigurante Gesù Cristo che appare alla Maddalena sotto le spoglie di un ortolano.

S. MINIATO — PALAZZO GRIFONI – Foto tratta dal libro “Il Valdarno da Firenze al mare”, 1906

Proseguendo la via, si trova la piccola chiesa di S. Maria del Fortino, leggiadra costruzione del XIV secolo che era già annessa ad uno spedaletto, oggi distrutto. Sull’altare esiste l’antica tavola danneggiata assai dall’umidità e dall’incuria. Nel centro della tavola, in una specie di tabernacolo sostenuto da angeli volanti, è la Vergine col bambino Gesù; in basso stanno S. Sebastiano, S. Bartolommeo, S. Cosimo, S. Damiano e S. Caterina d’Alessandria; è opera assai importante di scuola del Ghirlandajo.

( Guido Carocci, Il Valdarno da Firenze al mare, 1906 )


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