Gus Van Sant: Promised Land

Creato il 19 febbraio 2013 da I Cineuforici @ICineuforici

GUS VAN SANT Promised Land (USA 2012, 109 min., col., drammatico)
Nel suo ultimo film, Van Sant affronta con coraggio e coscienza il tema dell'inquinamento ambientale e in particolare la pratica della fratturazione idraulica (diciamolo in termini più noti: fracking) che consente di migliorare il recupero e la produzione di gas naturale, con il rischio però di contaminazione delle falde acquifere. La vicenda vede Steve Butler (Damon), venditore per conto di una società energetica, il quale riceve l'incarico di convincere la popolazione di una regione agricola ad acconsentire per la trivellazione dei loro terreni, con considerevoli compensi economici da essa derivati. Perchè, piccolo punto per chi non lo sa: in America il sottosuolo non appartiene allo stato ma a chi possiede la terra.
Scevro da cerebralismi, libero da forzature di linguaggio, Promised Land è un film democraticamente onesto che rifugge dalla soggettività del suo autore per dedicarsi umilmente alla libera interpretazione e, soprattutto, all'immedesimazione del suo pubblico. Detto questo, sarebbe facile catalogare la pellicola nel filone del cinema civile. Ma noi orgogliosamente rifiutiamo di riempirci la bocca di etichette sostenendo invece che il film va ben oltre il tema ambientalistico per affrontare un dilemma più profondo: a cosa si è disposti a rinunciare per avere un pensiero proprio? Quel che riesce bene a Van Sant qui (e più diffusamente nella sua opera) è di gettarsi su problemi globali, filosofici e sociologici, senza tradire il minimo snobbismo intellettuale; ancora una volta il suo cinema fa sembrare facile ciò che è difficile senza perdere un grammo di veridicità e/o senza comportare inevitabili strafalcioni banalizzanti.
Promised Land è pertanto un film tanto scorrevole e leggero nell'aspetto quanto complesso nel suo sottotesto; c'è infatti da dire che se il pubblico italiano potrebbe trovare il tema di fondo un pò deboluccio, un americano non può non cogliere la messa in discussione di un  concetto di purezza (ambientale come etica) tanto caro alla cultura nordamericana, purezza come idea fondante che l'americano ha della sua terra promessa. Se comunque il film non è un capolavoro (per motivi che non dirò al fine di evitare spoiler sul finale) non posso che applaudire l'abilità di un regista che preferisce anteporre volti ed espressioni segnati dal dubbio alla facile retorica; in questo senso Promised Land riesce ad evocare un senso di comunità - di democrazia? - fin dalle primissime immagini; gli agricoltori,  piegati dalla crisi economica, reagiscono all'offerta della società energetica in modi del tutto differenti: da segnalare il classico esempio di povero arricchito, che non aspetta altro che sperperare i soldi nel lusso sfrenato; o la razionalità illuminante del rispettato insegnante; e se c'è un personaggio nettamente negativo, paradossalmente è quello del militante ambientalista. Insomma, l'intera operazione è volta a trattare il pubblico con la massima considerazione che gli è dovuta, mettendo al centro il coinvolgimento e la libertà di scelta di chi guarda piuttosto che l'imposizione di una determinata presa di posizione. Vi sembra poco?
Stefano Uboldi