GUS VAN SANT Promised Land (USA 2012, 109 min., col., drammatico)
Nel suo ultimo film, Van Sant affronta con coraggio e coscienza il tema dell'inquinamento ambientale e in particolare la pratica della fratturazione idraulica (diciamolo in termini più noti: fracking) che consente di migliorare il recupero e la produzione di gas naturale, con il rischio però di contaminazione delle falde acquifere. La vicenda vede Steve Butler (Damon), venditore per conto di una società energetica, il quale riceve l'incarico di convincere la popolazione di una regione agricola ad acconsentire per la trivellazione dei loro terreni, con considerevoli compensi economici da essa derivati. Perchè, piccolo punto per chi non lo sa: in America il sottosuolo non appartiene allo stato ma a chi possiede la terra.
Scevro da cerebralismi, libero da forzature di linguaggio, Promised Land è un film democraticamente onesto che rifugge dalla soggettività del suo autore per dedicarsi umilmente alla libera interpretazione e, soprattutto, all'immedesimazione del suo pubblico. Detto questo, sarebbe facile catalogare la pellicola nel filone del cinema civile. Ma noi orgogliosamente rifiutiamo di riempirci la bocca di etichette sostenendo invece che il film va ben oltre il tema ambientalistico per affrontare un dilemma più profondo: a cosa si è disposti a rinunciare per avere un pensiero proprio? Quel che riesce bene a Van Sant qui (e più diffusamente nella sua opera) è di gettarsi su problemi globali, filosofici e sociologici, senza tradire il minimo snobbismo intellettuale; ancora una volta il suo cinema fa sembrare facile ciò che è difficile senza perdere un grammo di veridicità e/o senza comportare inevitabili strafalcioni banalizzanti.
Stefano Uboldi