Foto ©Thilo Rückels
Per il penultimo concerto del ciclo Mythos 9, gli Stuttgarter Philharmoniker hanno invitato come solista Guy Braunstein, quarantatreenne violinista israeliano considerato tra i migliori talenti delle ultime generazioni. Nato a Tel Aviv, Braunstein ha studiato nella sua città natale con Ipo Chaim Taub, membro del Tel Aviv String Quartet e per quasi vent’ anni Concertmaster della Israel Philharmonic Orchestra, che io ascoltai a Venezia nel 1983 eseguire, sostituendo senza preavviso Itzhak Perlman che si era improvvisamente ammalato, la difficilissima parte solistica del Concerto di Berg. Nel 2000, a soli ventinove anni, Guy Braunstein fu chiamato da Claudio Abbado a ricoprire il ruolo di Konzertmeister nei Berliner Philharmoniker. Con il grande direttore italiano, oltre ai rapporti professionali, il giovane violinista israeliano ha sviluppato una profonda amicizia personale che è durata fino alla morte di Abbado. Nelle gallerie fotografiche pubblicate sulla stampa italiana e internazionale, si può vedere Braunstein ritratto mentre, insieme ad altri, porta a spalla la bara del direttore durante i funerali tenutisi a Bologna. Siccome nei Berliner i violinisti che si alternano al leggio di Konzertmeister sono quattro, Braunstein ha avuto il tempo per portare avanti un’ attività solistica che nel corso degli anni si è fatta sempre più intensa, fino a costringerlo a lasciare il posto fisso nell’ orchestra berlinese, alla fine della scorsa stagione, per concentrarsi a tempo pieno sulla sua carriera come solista. Nelle sue interviste, il musicista di Tel Aviv ha sempre sottolineato il ruolo importantissimo che il lavoro come Konzertmeister dei Berliner ha avuto nello sviluppo della sua personalità musicale, affermando che resterá sempre legato al complesso berlinese come a una famiglia. Come solista, Braunstein si è esibito a livello internazionale con molte delle migliori orchestre e con altri musicisti di rango in serate cameristiche.
Per il suo concerto con gli Stuttgarter Philharmoniker alla Liederhalle, il violinista israeliano ha scelto una partitura contemporanea, il Concerto op. 25 “1001 Nights in the Harem” di Fazil Say. Ho giá avuto occasione di parlare del pianista e compositore turco, un personaggio molto interessante che, oltre a comporre e tenere concerti come solista, è anche apprezzato scrittore e autore di documentari sulla musica. Come concertista Fazil Say, che ha studiato e vive in Germania, si è fatto un nome soprattutto come uno dei migliori interpreti mozartiani del momento, cosa che ho potuto constatare personalmente in diversi ascolti dal vivo. Come compositore ha al suo attivo una produzione cospicua e molto apprezzata, che comprende tra l’ altro quattro concerti per pianoforte e orchestra e tre Sinfonia, la prima delle quali, intitolata Istanbul Symphony, è stata premiata nel 2013 con l’ ECHO Klassik-Sonderpreis. Il Concerto °1001 Nights in the Harem” è stato scritto nel 2008 ed eseguito per la prima volta da Patricia Kopatchinskaja, abituale partner concertistica di Fazil Say e dedicataria del brano, e dalla Luzerner Sinfonieorchester diretta da John Axelrod. Come tutti gli altri lavori del musicista turco-tedesco, la partitura contiene elementi melodici e ritmici derivati dalla musica mediorientale, con un uso molto raffinato di diversi tipi di strumenti a percussione tra i quali spicca il Küdum, un particolare tipo di tamburo che ha un’ importante parte solistica, qui suonata perfettamente dal percussionista Aykut Köselerli. Per quanto riguarda la parte violinistica, la scrittura si basa su elementi di melodie popolari abbelliti da glissandi, passaggi basati su microintervalli e figure di estrema difficoltà virtuosistica. Strutturalmente, la partitura è suddivisa in quattro tempi che si susseguono senza soluzione di continuità e che si ispirano, come il titolo lascia intuire, al celebre ciclo di fiabe orientali. Una composizione decisamente molto interessante, piacevolissima da ascoltare e raffinata nella scrittura. Guy Braunstein ha messo in mostra tutto il meglio della sua classe strumentale, suonando con un’ eleganza virtuosistica da solista di alto livello. Il violinista israeliano, che suona un raro strumento del 1679 costruito da Francesco Ruggeri, possiede un suono di grande bellezza e omogeneità timbrica e un senso del canto e del fraseggio da interprete di personalità spiccata. Ben assecondato dal direttore, l’ inglese Howard Griffiths, ha costruito un dialogo strumentale assai ben condotto con un’ orchestra assai precisa e puntuale nel realizzare gli scambi coloristici suggeriti dal solista. Guy Braunstein possiede davvero quella che io considero una delle doti fondamentali per un violinista: la capacità di far cantare lo strumento. Lo si è potuto apprezzare particolarmente nell’ altro brano da lui eseguito, che era la Romanza n° 2 op. 50 di Beethoven, resa con un legato di altissima scuola e un senso della struttura melodica e del fraseggio davvero da grande interprete.
Sul podio degli Stuttgarter Philharmonkker per questa serata c’ era Howard Griffiths, sessantaquattrenne direttore inglese residente in Svizzera, che dal 2007 è il Generalmusikdirektor della Brandeburgischen Staatsorchester. Oltre che per la sua intensa attività concertistica e discografica a livello internazionale, Griffiths si è fatto un nome per i suoi progetti di educazione musicale per l’ infanzia, tra i quali il più recente è il libro per bambini “Die Hexe und der Maestro”, da pochi mesi pubblicato anche in versione inglese. Come ho già affermato diverse volte, sono da sempre un convinto ammiratore di queso tipo di direttori, musicisti completi e professionisti dotati di tecnica affidabile e solida, spesso anche migliore di quella dei divi della bacchetta nonostante si tengano lontani dallo star system. Alla guida di un’ orchestra apparsa in buona forma, Griffihts ha diretto nella prima parte la Nona Sinfonia in re minore op. 143 “Die Jahreszeiten” di Louis Spohr, il compositore nativo di Braunschweig che fu amico intimo di Beethoven e poi di Schumann. Scritta nel 1850 a Kassel, dove Spohr fu Hofkapellmeister dal 1822 al 1857, la Nona Sinfonia è un buon esempio delle caratteristiche tipiche dello stile di un compositore accademicamente preparatissimo, in grado di trovare soluzioni stilistiche e armoniche molto raffinate, ma forse frenato da un eccessivo accademismo nella scrittura. Manca, in questa partitura, la personalità nell’ invenzione tematica anche se il trattamento orchestrale presenta spesso aspetti abbastanza originali. Howard Griffiths l’ ha diretta in modo assai convincente, concludendo poi la serata con una lettura vivace e ritmicamente molto elegante della celebre Sinfonia in re maggiore K. 385 “Haffner” di Mozart, nella quale il direttore inglese ha trovato sfumature di fraseggio molto azzeccate ed efficaci.