Non sempre però è vero quel che appare a prima vista, e anche se queste cose sono importanti, e se le donne hanno un potere che altrove non potrebbero avere, ciò non significa che Arbonne sia in sé inferiore ai suoi vicini. Se ne accorge per primo Blaise, pur impegnato in una missione che fatica a comprendere. Per lui l’intera vicenda fra Mallin, un barone minore, sua moglie Soresina e il trovatore Evrard, che l’ha corteggiata secondo le convenzioni della sua cultura e che se ne è andato sdegnato nel momento in cui è stato pubblicamente (e forse involontariamente) offeso, è talmente assurda da essere ridicola. Persone serie non dovrebbero preoccuparsi di episodi come questo. O no? In fondo, con una sola eccezione, tutti gli uomini di Castel Baude posti sotto i suoi ordini sono competenti e fanno quel che devono fare bene e senza la minima esitazione, come se fossero soldati di Gorhaut e non di Arbonne.
Ci sono molti elementi del nostro passato che possiamo riconoscere in questo romanzo, così come c’è un conflitto fra due fedi diverse. In questo caso entrambi i popoli adorano Corannos, ma Arbonne vi aggiunge una pari adorazione per Rian. Per un abitante di Arbonne la religione di Gorhaut è incompleta, per un abitante di Gorhaut quella di Arbonne è eretica. I monoteisti sono sempre più intolleranti dei politeisti, per i primi è vera solo la loro fede mentre gli altri sono più disposti ad adattarsi e a fare spazio ad altre divinità o anche ad altri modi di credere nei loro dei.
Conflitti di religione se ne troveranno ancora nell’opera di Kay. A Song for Arbonne è del 1992, i protagonisti di The Lions of Al-Rassan, pubblicato nel 1995, appartengono a tre fedi diverse che più o meno potremmo ricondurre a cristianesimo, ebraismo e islamismo, anche perché l’ambientazione ricorda quella della Spagna al tempo della cacciata dei moriscos. Del Sarantine Mosaic (Sailing to Sarantium, 1998, e Lord of Emperors, 2000), del fatto che secondo le credenze di Valerius II Alixana è un’eretica, e che c’è qualcuno che sente fortemente il problema dell’iconoclastia, ho già parlato. A Song for Arbonne, come tutti i romanzi di Kay, è un libro molto ricco, e un commento parziale come quello che faccio io non gli rende giustizia. Non parlo della bellezza della prosa, che percepisco anche in una lingua che non è la mia (anche se sicuramente perdo parecchio), mi limito a segnalarvela. E non parlo di un’infinità di altre cose, perché altrimenti dovrei stare qui per giorni e non ne ho il tempo. Mi limito a parlare di un tema a me molto caro, il modo in cui sono tratteggiate le figure femminili.
Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.
Il quarto numero (cartaceo ed ebook) di Effemme contiene un mio articolo di dieci pagine intitolato Jolanda e le sue figlie: eroine in cerca d’avventura in cui a partire proprio dall’impatto che ha avuto su di me la Jolanda di Emilio Salgari (che non era propriamente un autore fantasy ma che non era neppure troppo lontano dal genere) parlo brevemente di alcune figure femminili presenti in romanzi successivi.
Ma torniamo al libro, e alla frase iniziale.
Il romanzo inizia con una breve biografia del primo dei trovatori di Arbonne, Anselme di Cauvas. Ci fa conoscere da subito l’importanza di poesia e musica in Arbonne, e una delle opere di Anselme farà capolino più avanti nel romanzo, ma questa pagina serve solo a iniziare a farci entrare nell’atmosfera. La storia inizia con un prologo che, scopriremo poi, è ambientato 23 anni prima rispetto al resto del romanzo. Protagonista è la giovane Aelis, figlia del duca Guibor e di sua moglie Signe e moglie di Urté di Miraval. Aelis è bella, piena di vita e determinata. Sa che è suo dovere essere da esempio, si preoccupa con tenerezza della cugina tredicenne e non si fa problemi ad adoperare le armi. L’ho amata fin da subito. Più avanti ho scoperto che lei in realtà sapeva di non correre alcun pericolo, ma una donna con uno spirito meno forte avrebbe accettato il “rapimento” senza problemi. Peccato che, molto più avanti, ci rendiamo conto che Aelis ha commesso due errori gravissimi.
Non le importava? In fondo aveva vent’anni e stava morendo, è comprensibile un rifiuto dei problemi del mondo in quel momento e una certa concentrazione su se stessa. Io ho avuto parti relativamente semplici, e certo non mi sentivo in condizioni di essere empatica con nessuno, al di fuori delle mie due bimbe. No, non ero empatica nemmeno con mio marito, perché in quei momenti una donna si chiede perché lui non possa sentirne almeno una di doglia, per capire davvero cosa stia provando lei. Posso giustificare Aelis, essendo mamma anch’io? Certo non la amo più come all’inizio perché non posso non essere coinvolta nella spirale dei vari “e se…”. Lo so che questo è un romanzo, e che se non ci fosse stato alcun problema l’autore non avrebbe avuto nessuna storia da narrare, ma se non ci si interroga sui libri che si leggono anche dopo averli chiusi sono libri che valgono poco. Il divertimento di qualche ora, se va bene, e poi l’oblio. No, preferisco libri che mi fanno pensare, e se penso non posso (fra le altre cose) non chiedermi se davvero le cose non sarebbero potute andare in un altro modo.
Il prologo finisce con la consapevolezza che Aelis e Bertran avranno un figlio. Una consapevolezza data dalla dea, non dimentichiamo che la maternità è uno degli aspetti fondamentali delle divinità femminili. Nascita, vita, morte. Si dice spesso che la dea ha tre volti, e in questa scena ci sono in nuce tutti e tre. La vita che esaltano Bertran e Aelis con la loro passione, la nascita del bambino che avverrà di lì a qualche mese e la morte di Aelis, che coincide con la nascita. Poi il prologo finisce, e nella primavera di 23 anni dopo dobbiamo iniziare a scoprire un mondo (qui c’è una parte del primo capitolo).
L’impressione di Soresina che ha Blaise non è bella, in fondo lui è un uomo di Gorhaut. La moglie di Mallin appare vanesia e troppo interessata ai rituali dell’amor cortese, ma c’è da chiedersi quanto quest’immagine sia offuscata dai pregiudizi dello stesso Blaise. Certo lei fa la sua parte nel creare un problema insieme a un altro personaggio vanesio e troppo convinto della sua importanza, il trovatore Evrard, perciò la colpa è da spartire in uguale misura fra i due. La situazione è ridicola, in questo concordo con Blaise, quello che Blaise ancora non sa è che nonostante il verificarsi di situazioni di questo tipo in Arbonne, come in tutti i luoghi della Terra, ci sono un bel po’ di persone in gamba, e che amare la musica e la vita non significa essere incapaci di agire quando è necessario.
Blaise è lo specchio in cui vediamo le donne, e il graduale mutare delle sue convinzioni è affascinante. Scopre che, nonostante la cultura in cui vivono, gli uomini al servizio di Mallin sono in gamba. Viene sorpreso da Soresina, che a quanto pare non resiste al fascino di Bertran ma che incredibilmente acquista una nuova dignità grazie al tradimento. E, in uno scarno scambio di battute su una scala poco illuminata, viene a sapere che il vanesio duca di Talair si porta dietro una ferita d’amore che dopo ventitré anni non si è ancora rimarginata.
Alla fin fine Soresina ha guadagnato dall’incontro con lui, e pure Mallin, anche se mi chiedo quale sia davvero il rapporto fra i due coniugi. Temo però che, come Blaise, non riuscirò mai a capirlo.
All’inizio Soresina per Blaise (e per noi, non dimentichiamo che gli occhi di Blaise sono i nostri) è il modello di tutte le donne sciocche che fanno cose sciocche, si lasciano guidare dal capriccio e hanno un’influenza fin troppo forte nello svolgersi degli eventi. Però, fra quando ci viene spiegato il problema fra Soresina ed Evrard, e quando Bertran seduce la duchessa di Baude, incontriamo Beatriz, e questo ci spiazza.
Kay si era già accostato a questa figura con Gereint, lo sciamano dei Dalrei nella Trilogia di Fionavar. Lo so, non riesco a non saltare da un libro all’altro. La cecità, c’insegna l’etnologia, non è una menomazione ma un modo in cui lo sciamano può vedere oltre le cose del mondo terreno, scoprendo cose invisibili a tutte le altre persone. Beatriz vede in Blaise e sa di quando è stato con Rosala, non dimentichiamo che l’atto d’amore – anche se in questo caso non c’era passione fra i due ma la rabbia che entrambi provavano nei confronti del mondo e la necessità di generare un erede da parte di lei – è una delle cose che maggiormente rientrano sotto il dominio della dea. Beatriz chiede un prezzo per la missione di Blaise, un uomo per un uomo, la dea è giusta ma raramente compassionevole, specie con chi invade il suo dominio. Viste le azioni di Luth però viene da chiedersi quanto Beatriz sapeva, già all’epoca, del ruolo che il futuro sacerdote avrebbe giocato nel destino della sua terra. Qualcosa Beatriz sa con anticipo, anche se la visione del lago avviene verso la fine noi sappiamo che Luth si stava addestrando già da prima. Domande senza risposta, misteri, in fondo non tutto può essere svelato nel romanzo altrimenti diventerebbe un saggio e non una narrazione. Beatriz, tanto solenne quanto impone il suo ruolo, ma anche figlia che non ha dimenticato il rapporto con la madre. Al di là di tutto, sono i rapporti umani che fanno di noi ciò che siamo, e nessuno può ricoprire sempre i panni ufficiali senza perdere la propria umanità.
Alla riunione partecipano altre due donne. Una è Signe, madre di Beatriz e Aelis, duchessa di Arbonne e una delle tante dimostrazioni di cosa possono diventare le donne nelle giuste ondizioni. Era bella a suo tempo, è stata la regina della corte dell’amore così come ora lo è Ariane. Una carica simbolica, certo, che può facilmente essere sminuita come futile e poco importante. Ma, nelle mani giuste, una carica che consente di guidare la cultura e di indirizzare i pensieri nella direzione voluta, che può anche influenzare fortemente le sorti delle persone. La penna è più potente della spada, dice un vecchio proverbio, e sulla forza delle parole Kay si è soffermato parecchio, spesso modellandole sotto forma di canzoni. Sono molte le canzoni che riverberano con forza nei suoi romanzi e che conducono la trama. Lo ricordate il Canto di Rachel?
Amore, ricordi ancora
Il mio nome? Mi sono perso
Quando l’estate si è trasformata in inverno,
Colpita dal gelo.
E quando giugno diventa dicembre
È il cuore a pagarne il prezzo.
Del Lamento per Adaon invece non conosciamo le parole. Viene cantato una prima volta verso l’inizio, durante il funerale di Sandre, e noi sappiamo che si tratta di un’esecuzione notevole. Viene cantato una seconda volta, molto più avanti, in un momento in cui noi siamo emotivamente scossi per quanto è appena avvenuto, e in strada
la gente si fermò, smise di parlare, e, vinta dal fascino di quella musica, si affollò all’esterno della locanda per ascoltare il canto del dolore e dell’amore.
Non trascrivo la frase successiva perché in sole tre righe contiene due spoiler da Tigana (Il paese delle due lune), e qui preferisco limitarmi agli spoiler di A Song for Arbonne. Ovvio, anche in Arbonne la musica è importante, a partire dal canto scritto da Bertran in onore di Aelis, un canto che nel prologo affascina anche se nessuno conosce i nomi dei due protagonisti di quell’amore che viene così appassionatamente cantato, e che ventitré anni dopo è diventato un classico. Un altro canto importante è quello offerto da Ramir in una taverna di Lussan, in cui si sente tutto l’amore per la sua terra e per un determinato modo di vivere. Sono solo una manciata di pagine, Ramir all’interno del romanzo è solo un personaggio minore, ma per quelle pagine giganteggia e il suo contributo alla storia è importante.
There is no such thing as a minor character. Every character has their own novel, but their story is for another time.
Non esistono personaggi minori. Ogni personaggio è protagonista del suo proprio romanzo, ma la sua storia è per un altro momento. A leggere i romanzi di Kay ci si rende conto che è davvero così, comunque visto che sono dispersiva e che metto insieme cose molto diverse non posso non dirvi che le storie rimandate a un altro momento mi fanno pensare a Michael Ende e alla sua Storia infinita, con la frase “ma questa è un’altra storia” ripetuta non so quante volte. Va bene, quella è principalmente la storia di Bastiano e di Atreiu, ma anche quelle storie appena accennate avevano un loro fascino ed è un peccato non aver potuto seguirle. Così come abbiamo storie appena accennate nel Signore degli Anelli, cosa di cui J.R.R. Tolkien era ben consapevole visto che ha scritto che “il fascino [del Signore degli anelli] consiste in parte nell’intuizione dell’esistenza di altre leggende e di una storia più ampia, di cui quest’opera non contiene che un accenno”, o ancora che “penso che tu sia emozionato da Celembrimor perché provoca una sensazione improvvisa di infinite storie non raccontate”. Quella di Ramir è una storia non raccontata, ma non ho dubbi sul fatto che se Kay avesse scelto di raccontarcela l’avrei amata come quelle che racconta.
Where went the manhood of Gorhaut and Valensa
When war was abandoned and pale peace bought
By weak kings and sons long lost to their lineage?
Signe era stata la regina della corte dell’amore, ma se quella corona può essere deposta in favore di una donna più giovane lei non può rinunciare al governo di Arbonne. E governa bene, quando compare in scena abbiamo modo di vedere che la sua mente è acuta, che comprende i problemi che deve affrontare e che non si nasconde dietro a pie speranze per paura di riconoscere le verità più dure. Probabilmente l’unica cosa che proprio non capisce è il fatto che Roban è innamorato di lei, e anche questa è una storia che viene lasciata in sospeso perché non è il suo momento. Il fatto comunque che il solido e affidabile Roban abbia perduto il cuore per lei è un’ulteriore conferma della bontà del suo modo di operare nella quotidianità.
Quanto alla crisi, Signe collabora fin da subito al piano di Beatriz e Bertran e i suoi commenti e le sue decisioni sono sempre puntuali. Potrebbero essere solo il segno di una grande capacità di governo, elemento importante che però costituisce solo una parte della sua personalità. Quello che per me maggiormente la contraddistingue è la sua compassione. All’inizio abbiamo scoperto che non aveva voluto ordinare a Bertran e Urté di essere presenti per la commemorazione di Guibor perché aveva preferito concentrarsi sui sentimenti e non su una dimostrazione di forza, e più avanti vedremo la sua tenerezza nei confronti di Rosala e di un neonato che, ne è ben consapevole, significano guerra. Ma quando Signe e Rosala si incontrano l’anziana duchessa ha già tutta la mia ammirazione. Parecchie pagine prima, quando nel bel mezzo di una riunione in cui si stava discutendo di un tentato omicidio e di una probabile guerra, nel sentire come mandante del tentato omicidio il nome del padre di Blaise Signe aveva esclamato “But that must be terrible for you”, e con quelle parole aveva conquistato il mio cuore. La sua esclamazione echeggia quella di Sharra nel Sentiero della notte (The Darkest Road): “«Ma è terribile! Quel povero bambino! Nessun altro, in nessun mondo, può essere così solo»“. La compassione, il pensare ai sentimenti degli altri prima che al proprio tornaconto, anche se in ballo ci sono il destino di una nazione o di tutti i mondi. E naturalmente è Signe la prima a recarsi da Rinette, alla fine del libro, e lo fa a braccia aperte. Non sappiamo cosa le diranno gli altri, il padre che l’ha ritrovata e l’uomo che diventerà suo marito, ma sappiamo che Signe le porta tutto il suo amore, e che Rinette non avrebbe potuto fare un incontro migliore.
Galbert riesce a essere velenoso fino alla fine: uccide Ranald, che stava cercando un riscatto dopo alcuni anni vissuti da ameba a dimostrazione che volendo gli occhi si possono sempre aprire (cosa che invece Ademar non è interessato a fare), e trova modo di colpire Blaise un’ultima volta. Quella conversazione finale fra padre e figlio non era realmente necessaria, se si ragiona solo sulle azioni. Galbert poteva morire banalmente in uno dei tanti momenti della battaglia, o essere ucciso in un duello con uno dei suoi avversari. Bertran, Rudel, Valery, persino Blaise, anche se un duello con il figlio avrebbe lasciato strascichi enormi nel suo animo, tutti avevano ragioni in abbondanza per volerlo morto. Ma i personaggi sono composti da sentimenti, e Kay sceglie per Blaise il sentiero più difficile ed emotivamente più forte: il confronto verbale con il padre, e la morte di quest’ultimo non in un momento di guerra ma come atto di giustizia. Quanto possono essere difficili i confronti con i genitori? Lo sa bene anche Alessan, il cui rapporto con la madre è offuscato dall’ombra di Tigana.
Voi sapete come sceglie su quali argomenti o periodi scrivere? Legge. Legge tutto quello che attira la sua attenzione, e man mano che qualcosa lo affascina legge sempre di più su quell’argomento e su quel periodo. Sul suo sito autorizzato (http://www.brightweavings.com/) sono indicati diversi testi che gli sono stati d’aiuto nelle ricerche, quando ancora i romanzi dovevano prendere forma nella sua testa o che gli hanno fornito spunti o informazioni in momenti successivi. Lui inizia a scrivere partendo dall’ambientazione, mentre la maggior parte degli scrittori dichiara di partire dai personaggi. Scopre il suo mondo, e se il mondo ha determinate caratteristiche questo comporta determinati tipi di problemi, che possono essere affrontati solo da personaggi dotati a loro volta di un certo tipo di caratteristiche. È un approccio insolito, ma che gli consente una grande libertà creativa. Se sono i personaggi a dover avere ben precise caratteristiche in base al mondo in cui vivono, questo comporta che cambiando il mondo, cambiando il romanzo, cambiano anche i personaggi. Ogni tanto faccio collegamenti, parlo dell’importanza delle canzoni, delle esclamazioni di Signe e Sharra, o del rapporto fra Alessan e la madre e fra Blaise e il padre, ma personaggi e situazioni sono molto diversi fra loro. A volte emergono dei punti di contatto, sto parlando pur sempre di esseri umani, ma questo modo insolito di accostarsi alle storie porta Kay a creare personaggi ricchi, affascinanti e molto diversi fra loro, che le mie parole descrivono solo in minima parte.
Per lungo tempo Rosala vive come meglio può nelle difficili condizioni in cui si trova, circondata da uomini che disprezza. Il suo unico atto di ribellione – al di là di qualche parola detta comunque con cautela per evitare gravi conseguenze – è la notte trascorsa con Blaise, e alla base di quel gesto al di là del dolore provato per quanto è appena avvenuto fra i tre Garsenc ci sono motivazioni pratiche. Se lei non avesse concepito un figlio Galbert avrebbe potuto farla accantonare da Ranald, e la sua vita sarebbe diventata molto più complicata. In più la maternità la protegge almeno in una certa misura dalle attenzioni di Ademar. Quando però Galbert la minaccia di portarle via il figlio lei reagisce nell’unico modo che può salvarla: scappa. Poco importa il fatto che fosse tutta una macchinazione di Galbert, se lei non fosse stata quello che è, se fosse stata molto più passiva, non avrebbe neppure pensato di poter scappare. Eppure è disposta a tornare indietro, sapendo che la sua vita diventerebbe un inferno peggiore di quello che è stato in passato e sacrificando anche il figlio, pur di fermare la guerra e proteggere persone che non ha mai incontrato. La compassione, quella che guida Signe, è ben presente anche nell’animo di Rosala.
Confesso che lo spostamento su Lisseut in un primo momento mi aveva infastidita. Anche Signe, anche Rosala, avevano portato Kay ad allontanarsi da Blaise, ma Signe si era soffermata a ricordare Aelis e Bertran, e Rosala forniva un necessario retroscena per Blaise. Non dimenticate che questo è il terzo romanzo che ho letto in inglese, e che prima di quella freccia stavo arrancando.
And so saw, by a trick, an angle, a flaring of torchlight far down to the dark river, how the arrow – white-feathered, she would remember, white as innocence, as winter in midsummer, as death – fell from the summit of its long, high arc to take the coran in the shoulder, driving him, slack and helpless, from the rope into the river amid laughter turned to screaming in the night.
Questo dopo che Valery aveva appena fatto quello che aveva fatto. Ero anch’io lì a tifare per lui a quel punto, come nel Sarantine Mosaic mi sono ritrovata a tifare per Scortius. Quando c’è una simile dimostrazione di abilità ed eleganza non si può non amare l’atleta che sta compiendo quell’impresa.
Proprio perché anch’io stavo tifando sono stata colpita con forza da quella freccia, bella, bianca come l’innocenza, e mortale. Amo il contrasto, il modo in cui Kay si ferma per raccontarci con delicatezza di qualcosa che rompe la delicatezza e che distrugge tutto quello che eravamo, e che credevamo di sapere, fino a un attimo prima. In questo punto la storia smette di essere un susseguirsi di piccole schermaglie, magari anche pericolose (non dimentichiamo che Blaise ha seriamente rischiato di essere ammazzato il giorno in cui ha preso servizio presso Bertran) per diventare qualcosa di molto più vasto. E da questo punto non ho più percepito la difficoltà della lettura.
Lisseut è impulsiva, tante volte si rimprovera lei stessa per azioni che non può giustificare in modo razionale, ma in ciò che fa mette tutta sé stessa. Nella difesa di Remy, anche se Blaise le fa notare che ha scelto il bersaglio facile e noi sappiamo che lei sta giudicando cose che non conosce fino in fondo, nell’impulso a seguire lo stesso Blaise dopo l’attentato, o nell’andare a trovarlo dopo il suo duello con Quzman in Lussan.
And it had been in the next moment, precisely then, she would afterwards remember – the Arimondan’s flung dagger slicing through Blaise’s ear as he twisted away, then the swift, bright flowering of blood – that Lisseut of Vezét realized, with a cold dawning of despair, that her heart was gone from her. It had left without her knowing, like a bird in winter, flying north to a hopelessy wrong destination where no haven or warmth or welcome could even be imagined.
A quanto pare sono un’inguaribile romantica. Avete idea della fatica che ho fatto per trattenere le lacrime a queste parole? Anche se era la quarta volta che le leggevo, ma il sapere che qualcosa avverrà non sempre cancella l’impatto emotivo. Se non fossi stata nel bar dove pranzo regolarmente quando sono in pausa dal lavoro le lacrime non le avrei certo trattenute. Io sono fortunata, io e mio marito ci amiamo davvero, e so cosa significhi rendersi conto che il nostro cuore non ci appartiene più (anche se per fortuna io non me ne sono accorta nel corso di un duello mortale). Ho detto che posso perdonare molte cose a Bertran per Aelis (e a quanto pare anche per Rosala, ma solo perché Rosala è arrivata quando lui non la stava cercando e non credeva nemmeno più alla sua esistenza) e a Diarmuid per Sharra, vedere la forza dell’amore ha sempre effetti notevoli su di me. Il che significa che quando, a breve, rileggerò The Lions of Al-Rassan, mi ritroverò in lacrime un’altra volta. Lì la situazione è ancora più complicata, ma non è questo il momento adatto per parlarne. E Lisseut, per quanto innamorata, coraggiosa e testarda, tutte cose che me la fanno amare, è anche intelligente e sa quando fare un passo indietro. Capisce quando Blaise ha bisogno di riposare, e quando è troppo turbato per poter accettare la presenza di chiunque perché, come sa anche Bertran, non c’è abbastanza seguignac per quanto è appena accaduto. Prende quello che la vita, e le persone intorno a lei, possono offrirle, donando in cambio tutta sè stessa. E alla fine riesce ad avere successo in un campo che, nonostante tutto, è dominato dagli uomini e nel quale le donne solo quasi solo soggetto e destinatario delle loro opere.
Per un certo periodo di tempo Blaise ne è ossessionato, ed è per allontanarsi da lei (oltre che per contrastare il padre) che si reca in Arbonne. E lì trova in Ariane molto più di quanto non si aspettasse di trovare. L’avevamo vista all’inizio Ariane, è la cugina che galoppa con Aelis in una bella giornata di primavera, mentre gli uccelli cantano e una brezza gentile soffia dal lago. Troppo rapida e osservatrice per una tredicenne, aveva pensato Aelis, ma quella tredicenne ingenua e allegra è maturata trasformandosi in una donna notevole. Ha conservato la bellezza e l’attenzione per gli altri, non l’ingenuità. Quella l’ha persa per sempre nella notte in cui è morta Aelis, anche se i dettagli li verremo a sapere solo alla fine. Anche lei però ha dovuto accettare un matrimonio politico, e curiosamente è un matrimonio che a modo suo funziona. Ariane e Thierry de Carenzu si rispettano e se lui è omosessuale ed entrambi cercano il piacere fuori dal letto coniugale… fino a quando la cosa viene portata avanti con discrezione riguarda solo loro. Thierry è serio e affidabile e pure Blaise, che potrebbe avere dei pregiudizi per via della cultura in cui si è formato, si trova ad ammirare la sua competenza e la sua capacità di gestire le cose sopperendo senza fanfara alle mancanze degli altri.
Arbonne è una terra dominata dalle donne. È quel che si dice in Gorhaut, ed è il pretesto per lo scontro fra due diversi modi di vivere. Sono molte le donne che ricoprono un ruolo importante in questo romanzo, donne di cui io ho indicato solo alcuni aspetti perché già così ho scritto un testo lunghissimo. Non è però un romanzo di donne o sulle donne, gli uomini sono altrettanto quando non più importanti anche se io li ho lasciati quasi completamente da parte. Io detesto quei libri che sanno proporre solo figure femminili passive, incapaci di fare qualsiasi cosa che non sia accettare passivamente lo svolgersi degli eventi o che, al contrario, prendono in mano la situazione comportandosi né più né meno come se fossero degli uomini. Qui i personaggi, uomini e donne, sono veri perché agiscono essendo ciò che sono, senza rinnegare la loro natura e senza sminuirla, perché si trovano costretti a portare avanti la loro vita in mezzo a problemi di vario genere e a volte commettono errori. Non ci sono eroi designati o obiettivi chiari da perseguire al di là del cercare di andare avanti con la loro vita. E non ci sono personaggi minori, anche se di alcuni personaggi Kay ha raccontato solo un frammento della loro storia. Nessuno è un personaggio minore, indipendentemente da quello che fa, dentro o fuori le pagine di un romanzo.
Ogni volta che finisco un romanzo di Kay sento qualcosa dentro di me, qualcosa che non riesco a definire a parole. Quello che so è che questo qualcosa mi rende più ricca, e mi dà una gioia capace di superare le banali difficoltà quotidiane e che mi riporta in armonia con ciò che mi circonda.
He was not a musician, not a very good singer at all; he knew that. But songs were not only for those who could perform them with artistry. He knew that, too. And so [he] lifted his voice without shame, feeling a deep richness, a glory in the night, as he galloped his horse down the winding, empty road to the south, past farm and castle, village and field and forest, under the risen moons and the stars above Arbonne.