Guy Gavriel Kay e la fantasy storica

Creato il 18 luglio 2012 da Martinaframmartino

“Questo è un lavoro romanzesco modellato intorno e attraverso la storia” ha scritto Guy Gavriel Kay nella pagina dedicata ai ringraziamenti che chiude il suo ultimo romanzo, La rinascita di Shen Tai. Poco più in giù spiega che la sua “porta d’ingresso alla Cina dei T’ang si è aperta con i maestri della poesia della dinastia: Du Fu, Li Bai (l’Immortale Esiliato), Wang Wei, Bai Juyi e molti altri” (1). E, a completare il quadro, segue un elenco piuttosto lungo di opere che gli sono servite per creare il Kitai, l’impero in cui si muovono Tai e tutti gli altri protagonisti della storia. Nulla di nuovo, visto che in ogni romanzo lo scrittore canadese segnala numerosi testi che gli sono stato utili per realizzare i suoi mondi inventati.

Per arrivare alla fantasy storica Kay è partito da lontano. La sua prima opera, la Trilogia di Fionavar, è incentrata sul viaggio compiuto da cinque studenti canadesi in un mondo parallelo che per certi versi ricorda laTerra di Mezzo di J.R.R. Tolkien, con un forte uso della magia e la presenza di elfi, nani, un drago e perfino alcune divinità, ma fondamentali sono anche i riferimenti a numerose mitologie del nostro mondo.

Se quello di Fionavar è un mondo parallelo, con tanto di viaggio possibile fra quella terra e il nostro mondo, quello dell’immaginaria Penisola del Palmo del Paese delle due lune è l’unico mondo esistente, e ricorda la penisola italiana di epoca medievale e rinascimentale. La penisola infatti è frammentata in numerose province rivali, e questa suddivisione, come quella fra i nostri comuni o i nostri piccoli ducati, ha facilitato l’invasione e la conquista dei vari territori da parte di potenze straniere opposte fra loro ma già unificate al loro interno. E anche se la trama non ha legami diretti con la nostra storia, la descrizione di Avalle delle Torri gli è stata ispirata dal paesaggio di San Gimignano, paesaggio che lui stesso poteva ammirare da Certaldo nel corso del soggiorno toscano compiuto proprio in occasione della realizzazione di questo romanzo (2).

A Song for Arbonne riprende la cultura trobadorica dell’antica Provenza e ripropone una guerra che ricorda molto da vicino la crociata contro i Catari. È con questo romanzo che lo scrittore si è allontanato da una fantasy di tipo più classico, con un forte uso della magia, per dedicarsi a storie un cui l’elemento magico è molto più sfumato e il respiro è quasi da romanzo storico.

In The Lions of Al-Rassan uno dei personaggi è chiaramente modellato su El Cid, e anche se la Riconquista dei territori spagnoli da parte dei sovrani cristiani si è svolta con tempi e modalità molti diversi da quelli del romanzo di Kay, l’ispirazione è più che evidente. Non solo entrambi i personaggi si chiamano Rodrigo, ma la loro storia personale presente molti punti di contatto e le religioni che sono alla base del conflitto narrativo ricordano molto da vicino quelle cristiana, ebraica e islamica.

Per la duologia The Sarantine Mosaic il punto di partenza è stato l’impero di Costantinopoli, in particolare il periodo del dominio dell’imperatore Giustiniano e di sua moglie Teodora, The Last Light of the Sun si basa sulle scorrerie vichinghe a danno dei regni anglosassoni e sulla figura di Alfredo il Grande, mentre Ysabel, pur essendo ambientato in epoca contemporanea, affonda pesantemente le sue radici nella storia passata della Provenza.

La rinascita di Shen Tai, infine, si basa sulla dinastia cinese dei Tang, in particolare sul periodo della ribellione di An Shi. Certo, i dettagli cambiano, a volte anche di molto.

Dato che la geografia di questi mondi è chiaramente inventata e che in ciascuno di loro è presente almeno un elemento fantastico, per queste opere non è possibile parlare di romanzi storici. Piuttosto si tratta di fantasy storici, e la ragione di questa scelta è stata fornita a più riprese dallo scrittore.

A partire da A Song for Arbonne la magia è quasi assente nei romanzi di Kay, e anche dove si trova è qualcosa che sfugge alla comprensione umana (o almeno a quella dei protagonisti e della loro cultura) per ammantarsi di mistero. La magia, più che una componente fondamentale di queste opere, diventa uno dei possibili strumenti a disposizione dell’autore, da adoperare quando serve davvero alla storia (3). Addirittura può essere dannosa se usata nel modo sbagliato, o in quantità eccessive, perché aumenta la distanza fra la storia e il lettore confinando l’opera nell’ambito del fantastico, e quindi allontanandola dalla nostra realtà (4).

Con questo Kay non dice che gli elementi magici vadano eliminata dalla narrativa, ma solo che vanno usati con attenzione, senza seguire precise regole che ne indichino l’uso. È semplicemente uno dei tanti strumenti a disposizione dello scrittore, da adoperare quando e dove è necessario alla storia.

Quanto alla nostra storia, ha spiegato (5) di non amare il fatto che un autore possa impossessarsi delle vite reali di altre persone per costruire le sue ipotesi — o anche le sue deliberate distorsioni — sulla loro vita. Non gli piace la giustificazione che in fondo “è solo un romanzo”, o un’apologia nella postfazione. Già parecchi anni fa in una conferenza tenuta prima a Toronto e poi a Zagabria (6) lo scrittore si era posto un problema morale piuttosto forte: ci sono — o ci dovrebbero essere — dei limiti a ciò che si può narrare quando si parla di persone reali? Lo scrittore è davvero libero di scrivere tutto ciò che vuole per ottenere una storia migliore?

Esemplare in questo caso è la vicenda che alcuni anni fa ha visto protagonista Michael Ondaatje con Il paziente inglese. Elizabeth Pathy Salett, figlia di un diplomatico che ha conosciuto il vero conte di Almasy, ha criticato sul Washington Post il film tratto dal romanzo affermando che, “visto che si tratta di un’opera che influenza milioni di persone, chi lo ha realizzato non avrebbe dovuto limitarsi a dire che si tratta di una finzione, ma avrebbe dovuto essere più rispettoso nei confronti di quanto realmente accaduto” (7). Se regista Anthony Minghella ha ribattuto che, anche se il personaggio realmente esistito era stato diverso da quello da lui raffigurato, la cosa non era importante visto che quel che lui aveva diretto era “una fiction basata su un’altra fiction”, quella narrativa. La ricostruzione del luogo, del periodo e degli avvenimenti principali è corretta, ha ribadito uno dei produttori, Saul Zaentz, ma a suo giudizio “nessuno può conoscere la verità nel campo delle emozioni umane”.

Quanto a Ondaatje, dopo aver spiegato nella postfazione che “anche se alcuni personaggi che compaiono nel libro sono basati su personaggi storici… è importante notare che questa storia è una finzione” (8), ha anche sottolineato che questo tipo di operazioni è sempre stato fatto. Senza i Tudore la loro influenza su Shakespeare, noi non avremmo avuto il Riccardo IIIcosì come lo conosciamo (9).

Kay non ha facili soluzioni al dilemma su Shakespeare e Riccardo III, in compenso ha altri dubbi. Possiamo dire tutto quel che vogliamo su Elisabetta I perché tutti sanno che si tratta di una finzione? Possiamo farlo ora con Elisabetta II? È giusto cercare di conquistarsi lettori usando nelle proprie opere il nome di personaggi famosi nascondendosi dietro al fatto che è solo un romanzo? E che significato hanno privacy e rispetto per le vite degli altri per un romanziere?

La sua scelta è stata quella di scrivere un romanzo in cui compare un personaggio ispirato a El Cid, come ha fatto in The Lions of Al-Rassan, o uno ispirato allo straordinario poeta di epoca Tang Li Bai, come ha fatto inLa rinascita di Shen Tai. Inventando personaggi basati su persone realmente esistite può allontanarsene e affermare, senza possibilità di dubbio, che non sa cosa pensavano o provavano uomini realmente vissuti tanto tempo fa, come si relazionavano con i loro familiari o come affrontavano i loro nemici. Quello che Kay fa, quindi, è mostrare come la fantasy possa toccare snodi importanti del nostro passato senza avere la pretesa di mostrare la verità. Non solo, la verità delle sue storie può addirittura essere più ampia di quella del nostro passato perché è più universale.

Togliere una storia dallo specifico tempo e luogo in cui si è verificata significa universalizzarla. Lo scrittore — e con lui il lettore — possono considerare più facilmente i temi e gli elementi di una storia e applicarli a un gran numero di tempi e luoghi diversi.
In diverse occasioni (10) i lettori del Quebec hanno chiesto a Kay se Il paese delle due lune, incentrato su una cultura deliberatamente distrutta da un invasore al punto da far perdere al Paese la propria identità, in realtà parlava di loro. La stessa domanda gli è stata rivolta in Polonia e in Croazia. Ma Il paese delle due lune più che l’esplorazione di una singola cultura è un tentativo di adoperare la fantasy per focalizzarsi su un tema importante: il rischio corso da diverse culture nell’arco dei secoli di essere dimenticate e smarrire la loro individualità. Guardare alla nostra storia attraverso lo specchio della fantasy permette di riflettere sul problema senza legarlo a uno specifico tempo o a una ben precisa cultura un po’ come fanno le fiabe che, definendo in modo generico i loro protagonisti, consentono a ogni lettore (o ascoltatore) d’immedesimarsi facilmente con il protagonista.

Un ultimo punto che per Kay è fondamentale è il suo desiderio di tenere il lettore sveglio fino alle due del mattino o peggio, troppo catturato dalla lettura per poterla interrompere (11). Perciò ambientare la storia in una versione leggermente modificata del nostro passato fa in modo che anche il lettore che conosce bene quel particolare periodo storico e sa cosa sia realmente accaduto non possa sapere con certezza cosa accadrà nel romanzo. Questo, a suo giudizio, genera la suspance narrativa e consente persino riflessioni sulla nostra stessa epoca, spingendo il lettore a chiedersi quale potrebbe essere la nostra realtà se nel passato alcuni episodi si fossero svolti in modo diverso.

Il fantastico è uno dei tanti strumenti a disposizione di uno scrittore, ha spiegato Kay, ed è potente quanto tutti gli altri. La sua speranza è di realizzare storie forti e affascinanti, immergendo il lettore in un mondo e nei personaggi che lo abitano, ma fornendo anche materiale di riflessione per quando l’ultima pagina è stata letta. Perché, come ha scritto il poeta e critico Douglas Barbour, il fantastico “è quel tipo di fuga che ci riporta a casa” (12).

Note

1) Guy Gavriel Kay, Under Heaven, 2010, trad.it. La rinascita di Shen Tai, Fanucci, Roma, 2012, pag. 612.

2) Intervista condotta da Jean-Louis Trudel nel 1995 per Solaris e disponibile sul sito autorizzato dello scrittore: www.brightweavings.com/ggkswords/trudelfrench.htm.

3) Trascrizione di una chat tenutasi su Event Horizon il 18 aprile 1999:www.brightweavings.com/ggkswords/eventhorizon.htm.

4) Intervista pubblicata sul Marion Zimmer Bradley Fantasy Magazine nel 1999 e disponibile sul sito autorizzato dello scrittore:www.brightweavings.com/ggkswords/mzbfm.htm.

5) Lettera dell’autore pubblicata originariamente sulle copie di Under Heaven destinate agli addetti ai lavori:www.brightweavings.com/ggkswords/underheavenauthorsletter.htm.

6) Guy Gavriel Kay, Home and Away, pubblicato sul sito autorizzato dello scrittore:www.brightweavings.com/ggkswords/globe.htm.

7) Ted Anthony, ‘The English Patient’: Fact or Fiction?The Seattle Times, 6 dicembre 1996: community.seattletimes.nwsource.com/archive/?date=19961206&slug=2363528.

8) T. Anthony, ‘The English Patient’: Fact or Fiction?The Seattle Times, op.cit.

9) G.G. Kay, Home and Away, op.cit.

10) Intervista condotta da Alex von Thorn alla World Fantasy Con di Montreal tenutasi nel novembre 2001 e pubblicata sul sito autorizzato dell’autore:www.brightweavings.com/ggkswords/voyageur.htm

11) Lettera dell’autore su Under Heaven, op.cit.

12) G.G. Kay, Home and Away, op.cit.



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