Hallo Guy. Are you reading? As you know, I love your books, so I will continue to talk about them. This article isn’t really important for you, I’m talking about italian translation and about my articles on you. I say why I will talk about you also in the future. It’s my story, not yours, also if I talk of a writer named Guy Gavriel Kay. If you want anyway to read what I say about you without a struggle with google translator in a very long text, you can make a jump under your Il paese delle due lune‘s photo. I will started to talk about you in that point.
Nel 1992 ho preso in prestito in biblioteca un libro intitolato L’Occhio del Mondo. Forse il merito va alla stupenda copertina di Darrell K. Sweet, ma fin dal primo istante in cui l’ho preso in mano ho sentito che quello sarebbe stato un libro speciale. Internet non c’era, io leggevo fantasy da non più di cinque anni e non avevo idea di chi fossero Sweet o l’autore di quel libro, tal Robert Jordan. Non che prima dell’Occhio del Mondo fossero in tanti a sapere chi era Jordan, ma in teoria quello avrebbe potuto essere un libro come tanti. Quanti ne ho letti, fantasy e non, che non hanno destato in me nessuna particolare impressione?
L’ho divorato, e con quella lettura sono stata inesorabilmente catturata da Randland al punto da non essere più capace di uscirne. Non ne sono uscita ora che ho letto la conclusione da oltre un anno, a dimostrazione che le storie importanti durano per sempre. Negli anni successivi, fino al 1995, sono stati pubblicati altri due romanzi, La Grande caccia e Il Drago rinato, poi più nulla. Perché?
Ora più o meno conosco la risposta, non perché mi sia stata detta ma perché conosco almeno un po’ il mercato editoriale e perché ho fatto delle ricerche. Ne avevo parlato già un paio di mesi dopo la morte di Jordan:
Nel 1992, a soli due anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti, L’Occhio del Mondo arrivava anche in Italia. Il volume, che manteneva la stessa illustrazione di copertina dell’edizione originale, era pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore.
L’anno successivo era la volta di La grande caccia, ma qualcosa era cambiato. Mondadori aveva assorbito nella sua struttura la casa editrice Leonardo/Interno Giallo, recentemente fallita, e cercava di rilanciarne il marchio. Con questo scopo aveva deciso di pubblicare, con sotto la sigla Interno Giallo/Mondadori alcuni libri di grande richiamo per il pubblico. Fra questi c’erano secondi o terzi volumi di saghe già iniziate sotto il marchio Mondadori, o opere di autori molto noti.
Jordan diventava quindi uno degli autori protagonisti di questo tentativo di rilancio, proseguito fino al 1995 con Il Drago rinato. Proprio in quell’anno, però, la casa editrice cessò completamente le pubblicazioni, e per molto tempo i lettori italiani della Ruota del tempo non seppero più nulla.
Insomma, i titoli (e fra i vari autori c’erano anche Terry Brooks, Margaret Weis e Tracy Hickman, secondo me molto meno bravi ma, almeno in Italia, molto più famosi) erano stati usati dall’editore per provare a rilanciare il marchio ma la cosa non aveva funzionato. Poi questi autori, Brooks, Weis e Hickman, sono stati ripubblicati da Mondadori, Jordan no. Evidentemente per Robert e i suoi lettori le cose non sono andate nel modo giusto per motivi indipendenti dai romanzi, ma i romanzi stessi probabilmente non dovevano aver venduto più di tanto altrimenti anche loro sarebbero tornati al primo marchio, giusto?
Forse c’è di mezzo anche il fatto che in un primo momento Jordan aveva venduto a Tom Doherty, il fondatore di Tor Books, i diritti per una trilogia, anche se sapeva benissimo che avrebbe scritto almeno sei romanzi. Lui non voleva spaventare l’editore, ma magari sulla base di quel primo contratto Mondadori aveva acquistato solo una trilogia e poi ha ritenuto che non valesse la pena spendere altri soldi per comprare i libri successivi. Fatto sta che io e un certo numero di altri lettori ci siamo ritrovati con una storia abbandonata dall’editore prima che potessimo conoscerne la fine.
Abbiamo aspettato. E aspettato. E aspettato. E poi ci siamo stancati di aspettare. Torno al mio articolo del 2007:
Nel 1997 Sergio Fanucci iniziava timidamente ad avvicinarsi alle opere dello scrittore di Charleston pubblicando il già citato Conan l’invincibile. Nelle pagine della sua newsletter, Futuro News, spiegava che l’impegno economico necessario a pubblicare una saga tanto monumentale costituiva un rischio enorme per una casa editrice di medie dimensioni. Anche se l’idea lo tentava, al punto da farlo ritornare sull’argomento in diversi editoriali. Un problema enorme era posto anche dai volumi già pubblicati in Italia. I lettori già in possesso delle edizioni Mondadori li avrebbero ignorati, e quindi il rischio era di stampare e far arrivare nelle librerie romanzi belli ma destinati a una fetta di pubblico ancor più ridotta di quella solitamente interessata alla narrativa di genere. D’altro lato, iniziare a pubblicare il ciclo dal quarto romanzo in poi significava rinunciare totalmente alla possibilità di conquistare nuovi lettori. Dopo vari tentennamenti, finalmente nel luglio del 2002 L’Occhio del Mondo, questa volta targato Fanucci, tornava nei nostri negozi.
Io, come chissà quanti lettori, abbiamo scritto agli editori chiedendo il proseguimento della Ruota del Tempo. Ricordo che nella mia lettera c’erano diversi altri nomi, certamente quelli di Guy Gavriel Kay, Mercedes Lackey, Katharine Kerr e probabilmente anche Katherine Neville. Forse qualcun altro, ma è passato troppo tempo e non posso esserne sicura. Ovvio che non conoscendo l’inglese potevo chiedere solo la traduzione degli autori che in qualche modo conoscevo già.
Con Jordan la saga è finita in italiano solo una manciata di mesi dopo la sua fine negli Stati Uniti, ma in questo caso c’è stato un problema enorme con la malattia e la morte di Jordan e l’ingresso nella saga di Brandon Sanderson. Sanderson è stato bravissimo, e sono contenta che grazie a queste vicende noi possiamo leggere i suoi libri perché altrimenti forse non lo avrebbero mai tradotto, ma è un peccato che La Ruota del Tempo non sia stata conclusa da Robert Jordan perché solo lui avrebbe potuto dare alla sua opera la fine che meritava. Questo è stato il caso peggiore, ma quante altre volte un autore che mi piace non è più stato tradotto?
Nei primi anni ’90 mi è capitato di vedere in libreria, in inglese, numerosi libri che mi incuriosivano. All’inizio pensavo che fosse solo questione di tempo prima che li traducessero. Penso ad autori come Harry Turtledove o Mercedes Lackey, di cui in italiano erano disponibili diversi titoli. No, di Turtledove hanno tradotto parecchie cose – anche se ormai in commercio non c’è quasi più nulla – ma si tratta comunque di meno della metà dei libri che ha scritto. Non che sia tutto allo stesso livello, uno che scrive così tanto evidentemente è rapido ma non può certo mantenere un buon livello su tutto. Però avrei letto volentirei altri libri suoi. Non la Crosstime Traffic, ma qualche altra cosa sì. Della Lackey hanno tradotto solo una manciata di racconti, un romanzo darkovano scritto insieme a Marion Zimmer Bradley, e la sua prima trilogia, composta da Un araldo per Valdemar, Le frecce di Valdemar e Il destino di Valdemar. Possiamo dire quel che vogliamo sul fatto che il suo mondo e le sue storie siano abbastanza semplici e lineari, ma ciò non toglie che alla fine di Il destino di Valdemar io mi metta a piangere. Ci sono due punti precisi in cui lo faccio, a ogni rilettura. Al cuore non si comanda, giusto?
Ho saputo che Fanucci avrebbe pubblicato Jordan quando avevo da poco iniziato a studiare inglese, perciò lui è passato un po’ indietro nelle mie priorità. Non credevo che avrei letto i suoi libri in inglese potendoli leggere in italiano, perché in italiano faccio molta meno fatica e quindi mi diverto di più. Avevo sottovalutato due cose, i miei miglioramenti nella lettura in inglese di questi ultimi anni e il rischio spoiler. Dopo aver subito non so quanti spoiler prima di leggere La lama dei sogni ho deciso che come esperienza mi era bastata, e così ho letto i successivi The Gathering Storm, Towers of Midnight e A Memory of Light in inglese. La lettura in italiano è stata semplicemente una rilettura. Tre libri, per di più di quella lunghezza, in inglese pur sapendo che li avrebbero tradotti? Se me lo avessero detto qualche anno fa non ci avrei creduto. Ancora nel 2005 non ho letto A Feast for Crows di Martin in inglese, pur avendo letto già diversi libri in lingua, perché tanto sapevo che sarebbe stato tradotto. Ho preferito aspettare. Nel 2011 però ho letto A Dance with Dragons sempre per quel discorso sugli spoiler, a dimostrazione di come si possa cambiare in pochi anni.
Nel 1992 ho letto Tigana. In italiano si chiama Il paese delle due lune, ma ormai anche nella mia testa quel libro si chiama così come lo ha chiamato il suo autore. Parlando con lui, recentemente, Guy mi ha espresso la sua perplessità sul fatto che un paese possa possedere due lune, ed è ironico che un romanzo incentrato sulla perdita dell’identità nazionale al punto stesso che il nome di quel Paese viene cancellato, perda il suo titolo. Tigana, in Italia, è stato cancellato in un modo che neppure Brandin di Ygrath era riuscito a fare.
Ho amato alla follia quel libro fin dal primo istante. In quel caso non sapevo che avrei letto un capolavoro nel momento in cui l’ho preso in mano, nulla nell’illustrazione dei copertina o nel risvolto mi aveva dato quell’impressione. Però è così, il rapporto fra Saevar e Valentin, l’accenno alle doti del primo come artista, e la dolorosa inevitabilità di quella notte che sta per finire, mi hanno colpita fin dal primo istante. Finito il prologo c’è un notevole salto temporale, e ho avuto bisogno di un po’ di tempo per amare allo stesso modo i nuovi personaggi. Però è accaduto, e con un’intensità che in precedenza non avrei sospettato. Di questo libro comunque parlerò meglio più avanti, dopo averlo riletto. Io sono tipo da riletture, ma questo voi lo sapete già.
L’anno seguente ho visto in libreria La strada dei re (The Summer Tree). Questo è uno dei due casi in cui mi ricordo distintamente di essere in libreria davanti a un libro, con il desiderio di prenderlo e la mente che fa i conti sulle mie possibilità economiche. L’altra volta, per inciso, si è verificata molti anni più tardi con Il grande inverno (A Game of Thrones’ second half). Con Martin il dubbio era dato dalla possibile lunghezza della saga, dall’incertezza sul fatto che Mondadori avrebbe davvero proseguito la pubblicazione e non mi avrebbe piantata in asso come aveva fatto tanti anni prima con Jordan, e dal fatto che Il pianeta dei venti, che ho letto dopo Il trono di spade ma prima del Grande inverno, mi era piaciuto ma non mi aveva dato la stessa fame di conoscere la storia che mi aveva dato Il trono di spade. Poi ho pensato a quanto mi era piaciuto quel primo (mezzo) volume delle Cronache del ghiaccio e del fuoco e ogni altra considerazione è sparita dalla mia mente.
Io ho amato Tigana, ma avevo anche paura. Some losses aren’t deaths, but separations, mi ha scritto Guy rispondendo a una delle domande che gli ho fatto nell’intervista pubblicata oggi su FantasyMagazine. Alcune perdite non sono morti, ma separazioni. Non solo, aggiungo io – e se non l’ha fatto lui sospetto che sia perché avrebbe aperto un discorso davvero molto lungo – alcune perdite sono peggiori della morte. In Tigana i protagonisti lottano per ritrovare l’identità del loro paese. E, fra tutti, un personaggio in particolare ha pagato un prezzo molto alto con la sconfitta di venti anni prima. Non dico di chi si tratta, è una scena così forte che va gustata nella lettura. Io so che mi ha spezzato il cuore, e che questo è il motivo per cui ho esitato a comprare La strada dei re. Avevo paura di soffrire di nuovo così tanto. Poi ho pensato a quanto avevo amato quella storia, i suoi personaggi, l’avventura, le parole stesse con cui era stata scritta, al fatto che se avevo sofferto era perché avevo amato, e ho comprato il libro.
Ovviamente Kay mi ha spezzato il cuore un’infinità di altre volte, ormai è diventata un’abitudine. Un attimo prima sto bene, poi lui scrive una manciata di parole e davvero può accadere di tutto.
Se non si fosse capito amo le illustrazioni di Martin Springett.
La strada dei re e La via del fuoco nel 1993 e Il sentiero della notte nel 1994: con la Trilogia di Fionavar, la sua prima opera, si chiude anche il percorso editoriale italiano di Kay. Lui però non ha certo smesso di scrivere. Per anni ho sperato che qualche altro editore lo traducesse, sempre meno convinta che questo sarebbe accaduto. Quando ho saputo che The Lions of Al-Rassan prima e The Last Light of the Sun poi erano stati opzionati dal cinema ho sperato che quei film venissero realizzati, sapendo che di solito gli editori traducono i romanzi da cui sono tratti dei film perché vendono. Guardate quanto vendono ora Le cronache del ghiaccio e del fuoco grazie alla serie di HBO, ma questo vale per tutti i libri se il film è realizzato bene. Quando, nel 2005, è arrivato nelle sale il film tratto da Orgoglio e pregiudizio, il romanzo di Jane Austen è diventato un bestseller. Se ci penso la cosa mi fa ancora un certo effetto. Il romanzo è del 1813, e non credo di dover essere io a sottolinearne l’importanza. Possibile che la gente lo abbia scoperto grazie a un film? A quanto pare è possibile.
Fra il 2010 e il 2011, non ricordo con precisione, mi sono stancata di aspettare e basta traduzioni che non arrivavano mai. Da notare che a quel punto leggevo senza problemi in inglese, risale al 2003 il primo romanzo (Brightly Burning di Mercedes Lackey) che ho letto in inglese, quindi non avevo più davvero bisogno che un libro venisse tradotto per leggerlo.
Va bene, passiamo oltre e arriviamo finalmente al dunque. A quel punto ho iniziato una massiccia campagna pro-Kay. Quando Mondadori mi ha piantata in asso con Jordan io non conoscevo le vicende editoriali, e ho supposto che l’unico problema fosse che l’autore da noi vendeva poco. Come si fa a convincere un editore a pubblicare un autore? Semplice: bisogna convincerlo che con quell’autore ha un vantaggio economico. Un editore che dovesse pubblicare libri che gli piacciono per quel solo motivo non avrebbe vita lunga. I libri in teoria sono un prodotto culturale, ma per chi ci lavora sono quel che consente di portare a casa la pagnotta. Voglio che un editore continui a pubblicarmi una determinata saga o un determinato autore? Compro i suoi libri, dando soldi all’editore per pubblicarne altri. Ma io sono sola, e un solo libro non basta, come non basta il fatto che io lo compri più volte per regalarlo a chi penso che lo possa apprezzare.
Sono comunque poche copie, anche perché sospetto di essere l’unica libraia che ha promosso in questo modo quel libro. Se le mie impressioni sono corrette ha avuto una vendita medio-bassa, con l’editore che potrebbe decidere di pubblicare altre cose di Kay perché non è una perdita ma che potrebbe anche decidere di ignorarlo perché non è neppure un guadagno. Del motivo perché è così difficile vendere le opere di Guy ne ho parlato anche con lui. Have you started reading? Are you still reading? Don’t answer, it’s not necessary.
Non sono romanzi storici. La rinascita di Shen Tai è ambientato in Kitai, non in Cina. Ne ho parlato qui: http://www.fantasymagazine.it/approfondimenti/16768/la-fantasy-storica-di-guy-gavriel-kay/. Ecco, questa è stata l’altra iniziativa che ho preso per convincere i lettori a leggere Kay. Ho iniziato a scrivere su di lui. Per la verità ho sempre scritto su di lui. I miei primi tre articoli su FantasyMagazine sono altrettante recensioni mentre la prima notizia, datata 25 gennaio 2007, è proprio relativa al possibile adattamento cinematografico di The Last Light of the Sun. Ho sempre scritto di lui, trovando modo di piazzare il suo nome anche in articoli relativi a George R.R. Martin o a Brandon Sanderson (e questi sono solo due esempi) nel tentativo di renderlo familiare ai lettori e di spingere qualcun altro a scrivere agli editori per richiedere la traduzione di altri romanzi di Kay. L’ho sempre fatto, e da un paio di anni ho iniziato a farlo in modo molto più continuativo. In fondo un libro in commercio c’è, perciò chiunque può iniziare a leggerlo.
Quello che faccio sicuramente, che ho fatto in passato e che continuerò a fare, è parlare di Kay. Ho sempre scritto articoli su Kay, l’ho già detto, perché penso che sia uno scrittore straordinario e che la maggior parte delle persone che leggeranno i suoi libri finiranno con l’amarli. Non tutti, è impossibile, ma la maggior parte. E la maggior parte di voi, sono convinta, non mi ha dato retta. Da nove mesi il mio blog supera abbondantemente i 500 contatti al giorno di media. Lo avete letto tutti e 500? Non credo. Smettete di leggere me e andate a leggere lui. La rinascita di Shen Tai, per la cronaca, è disponibile anche in versione ebook e non solo nel mio amato formato cartaceo, e se siete in grado di leggere senza problemi l’inglese ci sono un bel po’ di libri che vi aspettano. I miei commenti, al confronto, non sono nulla.
In ottobre ho pubblicato qui un brano dedicato a Kay. Il mio blog è programmato per inviare automaticamente su Facebook e su Twitter tutto quello che pubblico. Non ci devo neppure pensare, lo fa lui. Twitter però per me è un illustre sconosciuto, non lo uso praticamente mai. Ho un account solo per via di quel gioco dedicato al Trono di spade organizzato da Sky, ma fino a qualche tempo fa non ci entravo mai. Però anche se io lo ignoro lui fa tutto da solo, e fra le persone che seguo c’è anche Kay. Ci credereste che ha visto il suo nome, si è incuriosito, ha letto quello che ho scritto grazie a una traduzone di Google translator e mi ha ringraziata per quello che avevo detto di lui? Dire che quando io ho ricevuto il suo commento ho iniziato a camminare sulle nuvole sarebbe riduttivo. Naturalmente l’ho ringraziato a mia volta, poi ho letto i suoi commenti dell’ultimo periodo, ho scoperto che era appena stato in Italia – Milano compresa – e ho iniziato a mangiarmi le mani per averlo mancato. Fine, per il momento. Tre tweet a testa, poi quando lui ha smesso di rispondere io non gli ho più scritto. Non volevo essere invadente. Ha oltre 8.700 followers, se tutti gli scrivessero pretendendo una risposta suppongo che non troverebbe più nemmeno il tempo per respirare. E poi mi sento sempre un po’ in imbarazzo ad andare a interpellare qualcuno che davvero ammiro. Cosa si può dire per non essere banali? Cosa, per non annoiarlo o per non per non fare quella che si mette in mostra con quello che so di lui?
Qualche tempo fa vi ho rivelato di aver aperto un altro blog, questa volta dedicato allo sport. Un mese e mezzo dopo averlo aperto ho attivato il collegamento automatico con Facebook e Twitter. Non lo avevo fatto prima perché non c’erano articoli, e mi sembrava assurdo promuovere un blog praticamente vuoto. Ho fatto i collegamenti, e subito sono partiti i link relativi a un articolo che ricorda la prima volta che ho assistito in televisione a una manifestazione di pattinaggio artistico. Citavo diversi atleti, ma il titolo e il video erano dedicati a colui che, da quel giorno e per sempre, per me sarà sempre sinonimo di pattinaggio artistico su ghiaccio: Kurt Browning. Il link è arrivato su Twitter, e subito qualcuno dal Canada è andato a guardare quella pagina. Questo in un momento in cui avevo più o meno un visitatore ogni tre giorni. O era Kurt, di cui ovviamente sono una follower (insieme ad altre 19.200 persone, cosa volete che sia?), o era Tina di http://www.kurtfiles.com/, che mi conosce almeno di nome perché mi sono iscritta alla mailing list ed è l’unica persona, Kay a parte, con cui io abbia mai conversato in inglese. Visto questo, ho immediatamente tolto il collegamento di sportlandia con i social network. Mi sono sentita in imbarazzo. Quello che avevo scritto erano solo elogi, ma comunque mi è sembrato come se fossi andata a casa di qualcuno a rompergli le scatole. Mi sono tolta dalla circolazione, tanto non è che su sportlandia io scriva per essere letta. Scrivo perché non posso non scrivere, che è diverso.
Ecco, lo stesso imbarazzo, la stessa sensazione di rischiare di violare la privacy di qualcuno, l’avevo provata con Kay, per questo pur continuando a leggerlo non gli avevo più scritto. Poi, in dicembre, ho pubblicato un altro pezzo su di lui, e lui mi ha letta e ringraziata ancora una volta. A questo punto ho fatto una cosa che solitamente non è da me: ho chiesto qualcosa per me. Gli ho chiesto se era disposto a concedermi un’intervista e gli ho inviato il mio indirizzo mail nel caso in cui avesse deciso di scrivermi. Già un anno e mezzo prima io avrei voluto intervistarlo, ma c’erano stati un paio di contrattempi e la cosa era finita nel nulla, anche se non avevo mai buttato via le domande. Io non butto mai nulla, non per niente poi ho la casa e il computer intasati di roba inutile che non si sa mai…
Mi ha risposto. Tutto qui. Quello che ci siamo detti, al di là delle mie dichiarazioni di amore eterno e incondizionato per i suoi romanzi, ora non è importante. Quello che so è che lui non è solo uno straordinario scrittore, ma anche una persona squisita. Oggi su FantasyMagazine abbiamo pubblicato una mia introduzione alle sue opere (http://www.fantasymagazine.it/notizie/20656/intervista-a-guy-gavriel-kay/) e l’intervista (http://www.fantasymagazine.it/interviste/20648/i-mondi-fantastici-di-guy-gavriel-kay/). Leggeteli, ma soprattutto leggete i suoi romanzi. Consigliateli, regalateli, rompete le scatole agli editori in modo che traducano altro. Non limitatevi a lamentarvi che gli editori non traducano molti romanzi di qualità, fate in modo che sia nell’interesse degli editori pubblicarli. Ho appena riletto La strada dei re, ma ve ne parlerò un altro giorno. Oggi mi sono dilungata fin troppo. Però siete avvisati: nei prossimi mesi vi parlerò di tutti i romanzi di Kay. Se non li avete ancora letti, leggeteli: quasi sicuramente li amerete.