Mi fermai sulla soglia, uscendo, per poter esplodere lì sul posto il mio starnuto, divenuto ormai incontenibile, per evitare che il fattaccio accadesse oltre, poco più avanti, una volta chiusa la porta, dove avrei dovuto rispondere gridando: "grazie!" al suo: "salute!" che mi sarebbe giunto da dietro la finestra. Non mi piace alzare la voce.Così scesi in strada. Ma non era la strada, il mio obiettivo. La usavo solo per spostarmi da A a B, non c'andavo per rimanerci. Non mi piace la strada.Lei no, non scendeva mai in strada. Rimaneva sempre là, dietro la porta. Il più delle volte mi osservava uscire coi gomiti sul tavolo, la testa fra le mani. Mi salutava. Io uscivo. Andavo in strada. Non mi piaceva uscire. Non mi piaceva salutarla.Fra la gente, durante il tragitto, a piedi, mi muovo in modo fluido, quasi liquido. Mi sposto tra di loro - gli altri - come un ruscello cristallino, puro, trasparente. Scorro tra il muro e lo specchietto dell'auto parcheggiata sul marciapiede anche se lo spazio è di pochi centimetri. Non sfioro neppure gli ostacoli. Non mi curo degli argini. Sono veloce, silenzioso. Quasi invisibile. Praticamente intangibile.B... B, il posto dove mi reco, presa la risoluzione di lasciare A... B è il luogo dove lavoro. Non mi si aspetta frementi. Quasi non mi si conosce, eppure si sa che lavoro lì. In qualche modo, da qualche parte, dentro B, io vengo contemplato. Perché dentro B, io occupo uno spazio. Col mio tempo: faccio dei calcoli, tiro delle somme, disegno dei numeri, conto. Conto, sì, e a volte pure devo rendere conto. Il mio lavoro è ineccepibile. Sempre. Ma non tutti gli altri, loro, lo sono. Mai. Anche chi sta sopra di è spesso non lo è. Ed allora devo spiegare. Mi è difficile spiegare, perché, se da un lato mi viene così facile pensare e scrivere numeri, con le parole non ci so fare altrettanto bene. Così vado da chi mi reclama - trasparente, fluido, lungo i corridoi - non amo i corridoi, li uso soltanto per spostarmi da B a B1, e con fatica ben dissimulata - e a chi si trova in B1, spiego. Ma lo faccio male. Non parlo bene, dicevamo, e la mia voce è bassa. Faccio prima ad indicare i dati sui fogli, come su di una lavagna, illustrandone in modo didascalico, mimico, i passaggi, i motivi, le cause del risultato che li sconcerta. Loro trovano il mio lavoro ineccepibile allora, solo, il più delle volte, non gli riesce di sentire neppure una parola. E' che, lo ammetto, non mi piace gridare.
Mi fermai sulla soglia, uscendo, per poter esplodere lì sul posto il mio starnuto, divenuto ormai incontenibile, per evitare che il fattaccio accadesse oltre, poco più avanti, una volta chiusa la porta, dove avrei dovuto rispondere gridando: "grazie!" al suo: "salute!" che mi sarebbe giunto da dietro la finestra. Non mi piace alzare la voce.Così scesi in strada. Ma non era la strada, il mio obiettivo. La usavo solo per spostarmi da A a B, non c'andavo per rimanerci. Non mi piace la strada.Lei no, non scendeva mai in strada. Rimaneva sempre là, dietro la porta. Il più delle volte mi osservava uscire coi gomiti sul tavolo, la testa fra le mani. Mi salutava. Io uscivo. Andavo in strada. Non mi piaceva uscire. Non mi piaceva salutarla.Fra la gente, durante il tragitto, a piedi, mi muovo in modo fluido, quasi liquido. Mi sposto tra di loro - gli altri - come un ruscello cristallino, puro, trasparente. Scorro tra il muro e lo specchietto dell'auto parcheggiata sul marciapiede anche se lo spazio è di pochi centimetri. Non sfioro neppure gli ostacoli. Non mi curo degli argini. Sono veloce, silenzioso. Quasi invisibile. Praticamente intangibile.B... B, il posto dove mi reco, presa la risoluzione di lasciare A... B è il luogo dove lavoro. Non mi si aspetta frementi. Quasi non mi si conosce, eppure si sa che lavoro lì. In qualche modo, da qualche parte, dentro B, io vengo contemplato. Perché dentro B, io occupo uno spazio. Col mio tempo: faccio dei calcoli, tiro delle somme, disegno dei numeri, conto. Conto, sì, e a volte pure devo rendere conto. Il mio lavoro è ineccepibile. Sempre. Ma non tutti gli altri, loro, lo sono. Mai. Anche chi sta sopra di è spesso non lo è. Ed allora devo spiegare. Mi è difficile spiegare, perché, se da un lato mi viene così facile pensare e scrivere numeri, con le parole non ci so fare altrettanto bene. Così vado da chi mi reclama - trasparente, fluido, lungo i corridoi - non amo i corridoi, li uso soltanto per spostarmi da B a B1, e con fatica ben dissimulata - e a chi si trova in B1, spiego. Ma lo faccio male. Non parlo bene, dicevamo, e la mia voce è bassa. Faccio prima ad indicare i dati sui fogli, come su di una lavagna, illustrandone in modo didascalico, mimico, i passaggi, i motivi, le cause del risultato che li sconcerta. Loro trovano il mio lavoro ineccepibile allora, solo, il più delle volte, non gli riesce di sentire neppure una parola. E' che, lo ammetto, non mi piace gridare.