Del resto ho notato che col cappotto l'ho fatta grossa. Letteralmente. La gobba sembra così ancora più grande ed impressionante. Ma la gente potrebbe sempre pensare che il cappotto sia molto più grande e corposo di quello che è davvero, e che non c'è nessuna gobba.E... c'è gente alla fermata del tram e io... questa ve la voglio raccontare... dico: so che c'è gente perché vedo un sacco di piedi fermi alla fermata, sì, fermi alla fermata, non ci si ferma solo il tram, alla fermata, beh, dicevo, arrivo io ed all'improvviso vedo tutti i piedi che fuggono all'impazzata, in tutte le direzioni, come birilli dopo lo strike del bowling... che finisce che quasi mi metto a fuggire anch'io in una direzione qualsiasi per evitare l'oscura minaccia ed allora per forza di cose alzo la testa, i corpi che stavano fuggendo sui loro rispettivi piedi ora si sono fermati e le teste si voltano verso di me ed i loro occhi mi guardano con un'aria di rimprovero che sulle prime non mi spiego, quindi, pieno di vergogna torno a chinare il capo e capisco... prima di me, fra loro, era arrivata la mia ombra. Quella li aveva terrorizzati: l'ombra di un uomo senza testa.Torno in A. Sono un po' scosso. Trovo la porta socchiusa. Un filo di vento esce dalla casa. Entro. C'è una scritta, su di un biglietto, che penzola giù, appeso al soffitto. Deve averlo scritto lei. Strano. Non sapevo che scrivesse. Che sapesse scrivere. Comunque non mi aveva mai scritto, prima. Nessuno l'aveva mai fatto. Tanto che io dubito di saper leggere, ma, d'istinto, guardo e faccio un tentativo. "La cena è in tavola." So leggere. La cena è in tavola... Suppongo che questa comunicazione stia a segnalare la sua assenza. Comunque è l'ammissione che è proprio lei a cucinare la cena. O perlomeno a portarla in tavola. O a notare che qualcuno l'ha fatto. D'altra parte il biglietto non è neppure firmato. Certo, non sarebbe d'aiuto. Non ricordo il suo nome. Potrebbero averla rapita. Ma a che pro lasciarmi questa comunicazione? Poteva comunque chiudere almeno la porta. Allora vado. Vado verso la tavola. La famosa tavola. Sorreggerebbe la cena, stando a quanto si dice. C'è una grossa scatola dove di solito sta il mio piatto. Che vogliono? Che mangi la scatola? No... un altro biglietto. "Apri la scatola. Rompi il contenuto e trova la sorpresa." Non ho voglia di riflettere su queste parole. Alzo la scatola, che non ha fondo, e basta. Sotto, invece di un piatto, un nido. Al posto del cibo, nel nido, un uovo. Un nido. Penso agli uccelli che l'hanno costruito. Col sole in bocca. Poi, a notte fonda, con la testa sotto l'ala. Poi, via, a migrare. Tornare a questo nido. Questo nido che ora sta al posto del mio piatto. Devo rompere il contenuto. Immagino sia l'uovo il contenuto da rompere. Non so se me la sento. Non voglio romperlo. Vorrei, piuttosto, covarlo. Perché dovrei romperlo? Non ho mai rotto un uovo, io. Non lo voglio fare. Sento bussare. Non è dalla porta, è dall'uovo. Fuggo, fuori. Non tornerò mai più in A. Andro a B senza partire da A. Troverò un'altra A. B sarà A. Troverò una nuova B.