Non posso mettere l’appartamento a soqquadro.
Allargo le braccia.
E grido.
Grido forte, fortissimo, altissimo. Sento, finalmente, in questo guscio di nulla, in questo uovo vuoto, nido abbandonato, sento, finalmente, viva materia che riempie, che smuove, sento i muri vibrare, le mie grida riecheggiare giù per la tromba delle scale, su per la tromba delle scale. Crollerà, questo palazzo, Grazie alle mie grida. Non solo le mie. Infatti, quando, tra urlo ed altro mi costringo a prendere fiato, sento altre grida. Non mie. Sono i vicini di casa. Questa categoria così specifica. La casa. I vicini di casa. Sì: gridano pure loro. Ma non come faccio io, non con le mie intenzioni. Urlano aiuto aiuto polizia, chiamate la polizia, c’è un pazzo nell’appartamento 6 o 7, 3, 8 o 2, 18 o 0 O cos’altro non so, pare che all’improvviso io abbia del tutto perduto il mio orecchio per i numeri ed una volta non avevo altro, ma tant’è ecco adesso la torma di selvaggi mi tornerà alle calcagna, devo fuggire, fuggire ancora, ed allora esco, esco asciutto e vergine, senza vendetta, senza carne, senza crollo e/o trionfo filistei spiaccicati e/o convertiti, niente di niente dal nulla tornato vuoto silenzioso fuggo, fuggo in alto, verso il tetto, dalle scale, verso l’alto perché, come le fiamme verso l’alto so solo bruciare.
Eccomi. Sul tetto. Sul tetto che ospita me.
La fiamma.