Non è tutto populismo quel che critica
Il sogno europeo sembra disgregarsi e già da tempo Capi di Stato, presidenti della Commissione Ue e euro-burocrati si scagliano contro il tumore chiamato “populismo” che starebbe uccidendo l’integrazione del Vecchio Continente. Nel settembre del 2012 Mario Monti, al tempo Primo ministro italiano, propose un vertice europeo per arginare le “spinte populistiche ed antagonistiche” contro l’unione politica europea che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) nascere grazie anche e soprattutto all’unione monetaria. Erano giorni di grande fibrillazione, spread impazziti, governi dimissionari e Grecia percepita seriamente vicina al collasso. Ma opporsi all’Euro non significa necessariamente populismo. Questa equazione, ben elaborata dai grandi dell’Ue, ha finito per rendere invisa agli occhi dell’opinione pubblica ogni posizione critica nei confronti della valuta unica.
La crisi delle democrazie
Eppure le difficoltà dell’Euro sono visibili e facilmente intuibili sono anche le tragiche conseguenze che il rafforzamento delle prerogative del governo sovranazionale europeo sta imponendo sulle spalle delle democrazie europee. “L’Euro e l’Europa stanno uccidendo le democrazie?”, ci chiedevamo qualche mese fa: “la democrazia è stata mortificata perché non si è più consentito alle politiche nazionali di adeguare e mediare le regole, – ci risponde Antonio Maria Rinaldi – ma si è demandato ai mercati la determinazione della politica economica comune”. Non è tutto qui. L’accusa che Nigel Farage, co-presidente dell’Eld e presidente dell’UKIP (assente ieri per malattia), rivolge all’Europa è ben più grave, sostenendo che l’Euro sembra stato progettato proprio per generare la crisi economica ed aumentare i poteri dei burocrati di Bruxelles e rendere “irrilevanti le elezioni” degli stati membri. Si pensi, ad esempio, alle dimissioni nel novembre del 2011 del Governo Berlusconi. Le parole dell’allora premier spagnolo Luis Zapatero sembrano dar ragione ai relatori del convegno: “il premier italiano accettò la supervisione del Fondo monetario internazionale, ma non il salvataggio. (…) Tutto ciò costò caro a Berlusconi, che da lì a poco dovette dimettersi. Fu così che in Italia arrivò Mario Monti. Di cui, ripeto, già si parlava da tempo».
Le colpe della Germania
Gli squilibri Nord-Sud Europa, sostiene Alberto Bagnai, non sono stati avvertiti e prontamente affrontati non (solo) per colpa delle incapacità dei governi nazionali, ma anche (e soprattutto) perché la rigidità del cambio non ha permesso “la segnalazione degli squilibri e la difesa da essi” che, invece, un cambio flessibile può assicurare. Inoltre, il cambio fisso e i tassi di cambio stabiliti all’entrata in vigore dell’euro hanno avvantaggiato i paesi come la Germania, i quali hanno potuto attuare “politiche di dumbing salariale aggressivo” senza rischiare la “rivalutazione della moneta e la conseguente perdita di competitività”. Un nuovo affondo contro una Germania che sembra cieca, arroccata su posizioni di austerità e ancora ben lontana dall’ammorbidire le sue posizioni in favore dei paesi in difficoltà.
Addio Euro ed Europa
Chissà se anche loro hanno capito che la moneta unica “è un progetto campato in aria”. Parole di Paul Krugman: anche lui “populista”?
Giuseppe De Lorenzo