Non li perdonerò mai. Per molti motivi, non ultimo quello che mi porta ogni tanto a fare si con la testa assentendo alle parole di Fedriga, alle invettive di Di Maio, alle pastorali di Papa Francesco insomma ad “articoli” più o meno autorevoli presenti sul mercato della politica che nulla hanno a che fare con la mia formazione e le mie stelle polari, l’antifascismo, lo schierarmi con gli sfruttati, il laicismo.
Non li perdonerò mai perché anche questo dimostra che è difficile sottrarsi a quella disgustosa marmellata non solo semantica– nazionalismo e sovranità, populismo e demagogia, etica e moralismo, visibilità e reputazione, autorità e autorevolezza, solidarietà e buonismo – che confonde gli ingredienti, che trita valori e principi mescolandoli con la melassa del doveroso realismo, del necessario pragmatismo, di modo che ideali e ideologie, convinzioni ed aspirazioni vengono derisi come attrezzi arcaici cui è inevitabile rinunciare pena la cessione di modernità, ed è imperativo condannare come fossero esercizi retorici, professioni di fede di anime belle ammuffite e retrograde, malmostosità disfattiste e sfiduciate.
Perché si sa che l’obiettivo è quello di persuadere che tra i tutti uguali tant’è tenersi quelli che hanno dimostrato la più perverso e pervicace ambizione, il più tenace e protervo arrivismo, sicché nulla turba la loro smania, una volta arrivati o collocati dall’alto, di restare ben saldi dove sono, con i loro privilegi, le loro rendite, conquistate con disinvolto servilismo e devota ubbidienza a re, imperatori e padroni che, anche se li disprezzano, sono i veri detentori della loro esistenza in vita.
Non li perdonerò mai, perché è davvero avvilente che il neo totalitarismo, l’oligarchia che a volte prende le fattezze della creditocrazia spesso quelle più cafone e sgangherate della nostra cleptocrazia, non ci conceda nemmeno la condizione, qualora non ci assoggettiamo, di essere die Davide contro Golia, dei gladiatori contro i leoni, che invece si tratta di figure mediocri, mestatori manovrati da burattinai finanziari, ometti prepotenti coi deboli e sottomessi coi forti, cagnolini col collarino e il campanellino che suona per dimostrare ubbidienza e che abbaiano a comando per spaventare il popolo con le minacce, le intimidazioni e i ricatti del sistema di governo della paura.
Non li perdonerò mai perché vogliono condannarci, anche i più avveduti, a quella condizione frustrante nella quale alla potenza del pensiero libero, della critica, dell’opposizione, si contrappone la terribile impotenza dell’azione, nella quale si ridicolizzano utopia e visione del futuro infliggendoci la distopia del presente misero, grigio, senza speranza.
Per questo il furfantesco disprezzo per il pronunciamento del popolo greco non è accettabile. Non deve esserlo qualsiasi sia lo sviluppo della vicenda. Perché a chi ci vuole schiavi, invisibili, piegati, fa paura non il debito greco, non le ripercussioni economiche, non la conferma che il disastro dei Paesi del Sud dell’Europa è in larga se non totale misura attribuibile ai programmi dettati dalla troika, nemmeno la consapevolezza, che ormai si fa largo malgrado l’aberrante campagna mediatica, che l’enormità del debito greco è dovuta al salvataggio delle banche tedesche e francesi e che addossare una “colpa” alle vittime, invocando regole condivise e moralmente indiscutibili, o la solidarietà delle nazioni, o la coesione. No a loro fa paura il ritorno alla politica che apre la strada al ritorno della democrazia, che mostra i piedi di argilla del mostro finanziario e del vecchio impero d’Occidente che non si arrende al declino, deciso a continuare una guerra cruenta, con spargimento di sangue, valori, aspettative, desideri, vincoli di amicizia, patti antichi. A loro fa paura che quella che pensavano fosse una marmaglia, un volgo disperso, abbia avuto la “faccia tosta” di sfidare il macabro terzetto, di tenere testa a chi ha fatto fare naufragio non solo ai greci, ma anche agli spagnoli, ai portoghesi, agli italiani e agli altri, che però si fregiano, chi si accontenta gode, di stare alla tavola dei grandi. E lo ha fatto proprio con quello strumento cdhe il gigante pensava disarmato, quel voto che mostra la determinazione a essere sovrani laddove la sovranità è osteggia, negata, cancellata grazie a kapò e maggiordomi interni.
Se la collera è rivoluzionaria, i greci hanno dimostrato di saper fare loro rivoluzione combattendo la menzogna, la mala fede, la mistificazione di chi ha trasformato perfino i più fermi sostenitori dell’Europa in avversari. Tanto che il referendum ha assunto la forma di un atto d’accusa contro lo stravolgimento dell’acquis europeo,mostrando che le istituzioni europee che nominalmente dovrebbero essere garanti dei porcessi democratici, li violano agendo contro di essa come tiranni insaziabili.
E allora per una volta siamo davvero debitori. Alla Grecia e alla sua gente.