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Habemus il Presidente: Re Giorgio e la disfatta della classe politica di Pierluigi Bersani

Creato il 22 aprile 2013 da Rosariopipolo

Un caricatura dal web

Rosario Pipolo
Nella nostra storia repubblicana non si è mai visto un teatrino così ridicolo come questa elezione del Capo dello Stato. Giorgio Napolitano, l’ultimo volto istituzionale sopravvissuto ai balletti del Belpaese movimentista, ci ha salvati dal nubifragio. Ha accettato di essere rieletto Presidente della Repubblica. Speriamo che il Quirinale non prenda esempio del Vaticano e che “Re Giorgio” non segua le orme di Papa Ratzinger per un ritiro anticipato.

Su tutto questo ambaradan si sono espresse troppe voci, persino quelle discordanti che vacillano fuori dal coro, ma nessuna ha centrato la stonatura. Lo ha fatto invece con la classe e l’ironia di sempre Lady Luciana Littizzetto, che ieri sera a “Che tempo che fa” ha letto a “Re Giorgio” una letterina con un post scriptum emblematico: “Napolitano torna al Quirinale, si mormora di Amato come Presidente del Consiglio, se le gemelle Kessler accettano una prima serata su Rai Uno, siamo veramente un paese proiettato verso il futuro!”.

Dall’altra parte dell’ambaradan ci sono le “lacrime” romanzate di Pierluigi Bersani, dimissionario in esilio dopo aver ridicolizzato Marini e Prodi , che ci hanno rimesso la faccia cascandoci come due pesci lessi: i due santini della Prima Repubblica pensavano davvero di poggiare il culo sulla poltrona del Quirinale. Questa elezione presidenziale ha dimostrato con i numeri alla mano che in Italia, con il tiro alla fune tra Destra e Sinistra, siamo in pasto ad una grande armata Brancaleone. Neanche un pianto alla Fornero, potrebbe convincerci del contrario.

Mentre il PD cerca alla svelta la scorciatoia di un congresso per farsi passare il più dolorso mal di pancia degli ultimi vent’anni, qualche vecchia volpe socialista se la ride e se la canta. E’ come dire che la storia repubblicana è una ruota che gira e i tradimenti prima o poi si pagano. La classe politica che, dopo l’uragano di Tangentopoli, intortò il Belpaese confezionando le vecchie falce e martello con il decalogo del socialismo europeo e lo scudo democristiano, è pronta per andare in pensione. Basta vedere le facce trafitte di un Massimo D’Alema o di una Rosy Bindi.

Consoliamoci. Abbiamo un Presidente della Repubblica quasi novantenne, la cui autorevolezza non basta a far sentire l’Italia un Paese “ringiovanito”. Ammettiamolo. Viviamo in un Paese ammalato di nostalgia cronica per gli inciuci in stile Pentapartito, che non sa affrontare le sfide del futuro.


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