Ormai da anni lavoro per la Camera, insieme alla Camera, sui dati della Camera, e quando è stato deciso di organizzare un hackathon non nascondo di essere rimasto un po’ sbalordito, non pensiate però che la mia sia stata una strana reazione al termine “hacker” accostato a “Montecitorio”.
La questione è: il Servizio Informatica della Camera è stato chiamato per la prima volta ad esporre in prima persona uno dei propri “prodotti”.
Compito dell’IT di un Ente, in linea di massima, è la gestione e lo sviluppo di strumenti a supporto dell’attività dell’Ente stesso. Si tratta di un lavoro spesso dietro le quinte: esce il nuovo sito, lo presenta il Presidente; c’è un convegno internazionale con 300 ospiti, tutti vanno online in un batter d’occhio usando il wifi e presentano in streaming le proprie diapositive e tutto sembra normale, semplice e quasi dovuto.
Ho sorriso al commento di una mia collega che alla domanda di un funzionario dell’Informatica interessato a sapere quanti partecipanti ci sarebbero stati e quanti device avrebbero avuto a testa, ha candidamente dichiarato “ma tanto hanno detto che c’è il wifi”.
Il problema è proprio questo. “Tanto c’è il wifi”, “tanto usiamo i dati che sono online”, “tanto raccogliamo gli iscritti dal sito”, “tanto sono su una sottorete blindata”, “tanto si attaccano con il cavo”, “tanto potenziamo un po’ i server per l’occasione”, “tanto facciamo una bella controllata dei dati prima dell’evento”, e potrei continuare per parecchio. Organizzare un hackathon alla Camera dei deputati non è uno scherzo, un po’ perché è la prima volta, un po’ perché un’Istituzione come questa cose del genere non le fa (o meglio non le faceva).
quegli hacker, che qualche giornalista ingenuamente temeva, sono rimasti soddisfatti dei dati e dell’accoglienza e hanno prodotto codice che ha reso soddisfatti gli organizzatori
Per l’occasione il Servizio di “supporto” ha messo in gioco pubblicamente (verso i cittadini) le proprie competenze tecniche ed un proprio prodotto, gli Open Data; chi come me fa questo lavoro sa che gli Open Data sono tanto buoni quanto lo sono le banche dati dalle quali sono estratti, e le banche dati non sono state create per l’evento, sono l’espressione di una minuta attività e cura quotidiane. Chiaramente ora esagero e nulla voglio togliere agli ideatori e a tutti i Servizi che hanno collaborato (e sono tanti, praticamente tutti), ma esponendole al mondo ed invitando 150 persone “del settore” a controllarle nel dettaglio, di fatto, è come dichiarare “professore, mi sento preparato, mi faccia una domanda su qualsiasi parte del programma”.
Mi sento di dichiarare che l’evento è riuscito: non solo l’Informatica ma tutta l’Amministrazione della Camera ha superato brillantemente il test. Tutto liscio come l’olio e quegli hacker, che qualche giornalista ingenuamente temeva, sono rimasti soddisfatti dei dati e dell’accoglienza e hanno prodotto codice che ha reso soddisfatti gli organizzatori.
Io non ho partecipato alla competizione, ovviamente, ma sono andato di qua e di là, passando da un banco all’altro dell’emiciclio, a dare un mano a tutti quelli che per la prima volta si sono trovati di fronte a dei Linked Open Data.
Questo mi ha dato la possibilità di fare alcune considerazioni super partes:
- Non è l’ambiente ne l’abito a rendere “formali” le persone: anche in una sala che a prima vista può lasciare intimoriti, tutti i partecipanti (e gli organizzatori) sembravano amici di lungo corso, e visto che tutti indossavano una giacca e le donne erano “ben vestite” vi sfido a riconoscere dalle foto che si possono trovare su twitter partecipanti, funzionari, tecnici e perfino Deputati.
- Il civic hacker/sviluppatore che con mezzi propri affronta un viaggio e viene ad un hackathon, non ha paura di niente: vuole un aiutino, due query di esempio per affrontare il problema, e poi si getta a capofitto nel riuso, nella ricerca online, nello “smanettamento di codice incontrollato” che lo porterà alla fine a produrre con successo il suo software o la sua sua visualizzazione.
- Non erano qui per i premi: più della metà dei partecipanti ignorava che ci fossero dei premi in palio, e questo dovrebbe far riflettere.
- I Linked Open Data fuzionano: anche se non li conosci, quando ci metti sopra le mani, riesci ad usarli in sole 30 ore, esplorando e navigando un dominio di informazioni che nei sistemi d’origine è rapprensentato con centinaia di tabelle e decine di software diversi.
- I dati della Camera sono di ottima qualità: sono stati trovati solo tre bug, un gruppo di link che contiene “&leg=16” al posto di “&leg=17”, un deputato con delle votazioni mancanti e qualche foto qua e la non visibile; sulle 51mln di triple consultate non è male.
E anche la separazione tra i due rami del Parlamento può esser superata: metti insieme i Linked Open Data della Camera e del Senato e capisci già un po’ di più il concetto di “processo legislativo” (e quindi per esteso di “Parlamento”).
Potrà sembrare che in questo post abbia esagerato con i complimenti e che sentendomi parte dell’organizzazione stia solo cercando di tirare l’acqua al mio mulino. Mi duole smentire, ma il primo hackathon #code4italy@Montecitorio è stato un successo sotto tutti gli aspetti, bastava dare una scorsa ai tweet lanciati durante questi tre giorni di lavoro (che trovate a questo indirizzo). Non mi riesce di trovarci qualcosa di negativo, i timori iniziali erano tantissimi ed è proprio in virtù di quei timori che mi sento tanto gratificato d’aver preso parte all’evento. Ringrazio tutti i presenti in sala (di tutte le fazioni) e mi spiace per chi non è potuto venire. Non so se l’anno prossimo ci sarà una nuova edizione, di sicuro l’atmosfera di questa sarà irripetibile.
Un saluto ai civic hackers che hanno partecipato ed a tutti quelli che hanno reso possibile l’evento.