Haiti mon amour/4

Creato il 18 novembre 2015 da Mapo
Passando dal centro di Port-au-Prince, nel mezzo di una pianura arida che scende dolcemente fino al mare, alla cittadina di Kenscoff, che giace circondata dai pini ancora verdi che si arrampicano sulla montagna, la temperatura scende di quasi 10 gradi.Quando dici a qualcuno che stai andando lassù, a poco più di mille metri di altezza, la prima cosa che tutti si raccomandano è quella di portare un maglione pesante. Il mio dolcevita blu con i segni delle trame andrà benissimo. In realtà è semplicemente il primo posto da quando sono arrivato dove non si boccheggia dal caldo in maglietta a maniche corte.
Ci arrampichiamo su una strada di montagna piena di curve a bordo di un camion bianco tutto ammaccato che ricorda quelli dei nostri muratori bergamaschi, assonnati mentre si dirigono verso il cantiere sulle strade lombarde alle prime luci dell'alba. Il motore sembra stia per scoppiare da un momento all'altro quando il pendio si fa più ripido e si procede quasi a passo d'uomo. I più fortunati hanno trovato posto nell'abitacolo e si godono la radio locale che trasmette musica haitiana a tutto volume. Suoni caldi e percussioni, del resto siamo solo a una manciata di Km da Cuba. Noialtri, invece, siamo sistemati come sacchi di terra nel cassone sul retro. I più fortunati riescono ad alzarsi in piedi aggrappandosi alla balaustra anteriore per viaggiare qualche minuto con il vento in faccia e la macchina fotografica saldamente tra le mani. Ho di fianco una neurologa americana che non smette di parlare neanche 5minuti, il timbro acuto e la cantilena tipica dell'inglese USA, nemmeno quando il sole, che qui non perdona, le disegna sulla faccia e sulle spalle un alone di colore rosso aragosta.Negli occhi degli haitiani che ci osservano dai bordi delle strade regna un mix di sgomento e ilarità nel vedere questa marmaglia bianca stipata e felice. È domenica, la guesthouse diventa un posto troppo stretto dove passare un giorno di festa e quindi hanno deciso di accompagnarci a visitare l'orfanotrofio che padre Rick, anni or sono, ha costruito in questo luogo pacifico e rilassante. Sembra di essere sulle prealpi bergamasche piuttosto che in mezzo all'oceano.Arriviamo durante la messa, che qui si celebra sotto in un ampio anfiteatro a struttura circolare aperto sui lati e coperto da una tettoia in lamiera rossa. Al centro, in basso, c'è un prete , l'immancabile coro con tanto di direttore impegnatissimo, una suora microfonata che fa da maestro di cerimonia e, in prima fila, qualche bambino disabile che batte le mani dalla sua carrozzina.C'è un'atmosfera di festa e quando il nostro grosso camion rumoroso varca il cancello per prendere la rampa di accesso del cortile, il collo di più di cento bambini si volta istantaneamente nella nostra direzione, con buona pace dell'eucarestia. Parcheggiamo nel centro del campo di pallacanestro, scendiamo mettendo un piede sulle grosse ruote un po' consumate e prendiamo posto tra i bambini che ci guardano incuriositi.Sono tutti vestiti bene, i ragazzi sportivi e colorati, le femmine con i loro abiti più belli, l'acconciatura fatta di fresco e, tra i capelli, dei fermagli bianchi di plastica di varie forme che le fanno sembrare una specie di albero di Natale in anticipo sui tempi.
Finita la messa facciamo un giro per le varie case, scortati mano nella mano da questi piccoli abitanti orgogliosi. Si comunica in un idioma a metà tra italiano, inglese, francese e a gesti, perlopiù.Tutti vogliono fare fotografie, mostrarci dove dormono, giocare a pallone. Un tredicenne con la felpa blu e il cappellino da baseball con la visiera piatta improvvisa uno spettacolo di break dance al centro di un cerchio di spettatori che battono le mani a ritmo.Passano un paio d'ore così, con il sole che filtra tra i pini, molte risate, un centinaIo di .jpg in più sulla scheda di memoria della macchina fotografica e un sacchetto pieno di gioia.Sulla strada del ritorno, dopo qualche tornante, siamo di nuovo nel caldo asfissiante della metropoli con il suo traffico, gli sguardi truci e i manifesti elettorali che promettono mondi migliori a breve termine.

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