L'equipe di cardiochirurgia pediatrica è bella tosta. Ad Haiti ci sono una cifra non ben definita di specialisti cardiologi, comunque compresa tra 4 e 14. Hanno macchine grandi, ville con piscina, abiti costosi e almeno due cellulari. Di cardiochirurgi residenti neanche l'ombra. Gli ospedali solitamente non sono attrezzati per gli interventi a cuore aperto e una degenza post-operatoria spesso complicata. Quindi l'unica possibilità di fare interventi cardiochirurgici è quella di aprire le porte a costose e ben organizzate spedizioni occidentali, sponsorizzate da precise campagne di fundraising. Si portano appresso monitor, farmaci, ferri, aghi, macchinari costosi e una serie di altre cose che riempie decine di valige nere che scaricano nella hall di un Hotel a 4 stelle a pochi km dall'aeroporto, con tanto di piscina. La solidarietà, fortunatamente, a volte diventa un business da gestire per davvero.
Francois è il capo-chirurgo, francese d'origine, quasi in pensione, ma da anni attivissimo in progetti di cooperazione ad Haiti e non. Gira per il porticato dell'ospedale con una cartelletta porta-documenti, i capelli bianchi lisci e pettinati e una camicia a righe bianche e azzurre con le maniche corte. Visto il portamento potrebbe trovarsi tranquillamente nel reparto di degenza di una clinica privata nel centro di Parigi, ma basta guardare nel giardino al centro del cortile per vedere la statua di una Madonna circondata da balene, giraffe, tigri, leoni (finti) e conigli (veri) per capire che non è così. Stringe la mano a chiunque con quel suo sguardo determinato e gentile che cede un po' solo una volta fuori dall'ingresso dell'ospedale quando si accende l'immancabile sigaretta sottilissima. Il secondo chirurgo è un italiano di nome Fabio, con gli occhialini, la voce un po' rauca con l'accento imbastardito dalla sua seconda patria dove da anni si è trasferito per operare: la Francia. Il giorno che stava andando in aeroporto per venire qui si è distorto la caviglia destra. Così, nella sala ristorante, un anestesista francese abbronzatissimo pensa a bendarla ben stretta, mentre lui racconta che durante questa missione faranno 12 interventi, alcuni più semplici come quelli già fatti precedentemente, altri un po' meno. "Non si può sbagliare" - in quanto a chirurgia del cuore l'atteggiamento prevalente è di cheta diffidenza, un paziente che muore sotto i ferri sarebbe un disastro anche per questo. Sulla lista operatoria ci sono i nomi (o cognomi?) curiosissimi di questi bambini tra i 6 mesi e i 15 anni di età. Luc Stanley, Dacheka, Roodson, Love Faela. Di fianco c'è la data prevista dell'intervento e la cardiopatia congenita da cui sono affetti. Sono stati selezionati tra decine di altri come candidati alla chirurgia dopo un lungo screening. Nei giorni prima dell'intervento un cardiologo newyorkese con la faccia da presentatore TV, le scarpe nere sempre lucidate e l'immancabile cravatta colorata, li ha passati tutti abilmente sotto la sua sonda eco per rifinire gli ultimi dettagli. Nel frattempo al piano di sopra un gruppo di tecnici in pantaloncini corti allestiva una terapia intensiva in piena regola. Al quadro elettrico arrivano le prese dei ventilatori, sia quelli dei pazienti che quelli che servono a fare aria ai dottori.
Oggi si opera una tetralogia di Fallot, una delle cardiopatia congenite complesse più comuni in cui si associano quattro difetti diversi. I bambini, spesso, diventano blu per via della cianosi. Qui, ci spiegano, più che altro diventano "very very black". La sala operatoria è piccola ma funzionale, c'è un condizionatore, una miriade di ferri e macchinari e un armadio pieno di medicine. Le ampie finestre danno su un giardino sottostante con gli alberi di mango e qualche palma. Si vede anche una grande cisterna piena d'acqua dove, ad un certo punto, nuotano due ragazzi di colore completamente nudi. L'infermiera li nota e all'improvviso tutti scoppiano in una lunga risata per stemperare la tensione. Si possono dire un sacco di cose agli americani, ma di certo, dalla CIA in giù, non si può accusarli di non sapere lavorare bene in equipe. L'intervento procede bene, la circolazione extracorporea continua il suo perenne moto di sangue rosso che entra ed esce dal cuore fermo in mezzo al petto.Chiuso il difetto interventricolare, allargato con un patch l'infundibolo della polmonare in modo da togliere la stenosi e Voilà, come dice Francois una volta arrivato quasi alla fine dell'intervento.È andato tutto bene, Jean Luc Stanley, 9 anni, 22 Kg e una saturazione periferica dell'ossigeno dell'86% si sveglierà con un cuoricino tutto nuovo e senza buchi. Potrà rimettersi quella casacca azzurra con gli orsacchiotti disegnati sopra che gli hanno messo addosso prima di entrare in sala operatoria e prendersi il suo tempo per rimettersi. Che la vita, poi, è lunga.